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Georg Josef Frisch
Germania. Nuovi "percorsi" sul suolo
17 Ottobre 2010
Consumo di suolo
Luci e ombre delle politiche di contenimento del consumo di suolo in Germania, in un articolo scritto per eddyburg.

Qui di seguito è riportato il testo senza le note, le tabelle e la bibliografia. La versione completa, in formato .pdf, è scaricabile in calce.

1. L’obiettivo 30 ettari

Il contenimento dell’occupazione di suolo per fini urbani e il rafforzamento delle strategie di riqualificazione della città esistente sono da tempo entrati fra gli obiettivi della legislazione urbanistica e dei documenti di pianificazione a livello europeo e dei singoli stati membri. Come è noto, nella lotta all’inarrestabile espansione delle città, si è distinta soprattutto la Germania con una vasta gamma di strumenti diversi: oltre a quelli di esclusiva natura legislativa si sono messi a punto strumenti di carattere fiscale ed economico, di comunicazione e di ricerca . Il carattere distintivo delle politiche tedesche è però la definizione di un obiettivo quantitativo rispetto al quale misurare l’efficacia delle strategie adottate. Questo approccio ha portato ad alcune innovazioni rilevanti nelle pratiche di pianificazione, arricchendo il discorso tradizionale con concetti nuovi di management e di comunicazione.

La necessità di invertire, o almeno mitigare, la tendenza all’espansione urbana è stata riconosciuta, per la prima volta, dal governo tedesco nel 1985 nell’ambito della formulazione dei principi di tutela del suolo. Solo tredici anni dopo l’allora ministro per l’ambiente Angela Merkel (CDU) si era però posto l’obbiettivo di disgiungere in modo duraturo lo sviluppo economico dall’occupazione di suolo. Fu allora fissata la soglia di 30 ettari al giorno (pari a un quarto della tendenza allora in atto), alla quale limitare l’aumento di aree per insediamenti e mobilità entro il 2020.

Successivamente, l’obiettivo 30 ettari è stato ripreso dai governi rosso-verdi all’interno della strategia per uno sviluppo sostenibile (Bundesregierung, 2002) e da tutti gli altri governi che si sono succeduti . Nonostante si tratti di un obiettivo piuttosto impegnativo, da subito molte voci autorevoli lo hanno considerato soltanto una meta intermedia e si sono espressi a favore di una crescita zero nel lungo periodo (Consiglio degli esperti per le problematiche ambientali, Consiglio per lo sviluppo sostenibile, Enquete-Kommission).

Ancora più rigorose erano le richieste delle associazioni ambientaliste BUND, DNR e NABU. Le associazioni chiedevano già dieci anni fa una progressiva riduzione delle aree fino a zero ettari nel 2010 (NABU, 2002). L’alleanza per la tutela dell’ambiente e della natura, invece, reclamava la necessità di trovare strumenti per realizzare “un’economia di rotazione”: per ogni nuova occupazione di suolo si sarebbe dovuta naturalizzare una superficie equivalente da un’altra parte (BUND, 2004).

Anche a livello dei singoli Länder è stato riconosciuto il problema della progressiva occupazione di suolo e sono state prese misure per la sua riduzione. Hanno funzionato come battistrada la Baviera con il “patto per il risparmio delle aree” e il Baden-Württemberg attraverso la tutela degli spazi aperti e dei suoli agricoli.

Come è dunque evidente, in Germania lo sforzo sul piano legislativo e programmatico, a tutti i livelli di governo, è stato notevole e va ben oltre lo slogan dei 30 ettari al giorno. I dati pubblicati nel marzo 2010 da parte dall’ufficio statistico federale inchiodano però le politiche alla loro efficacia: assolutamente deludente.

2. Le politiche sono efficaci?

Nel quadriennio dal 2005 al 2008 l’occupazione di suolo per fini urbani in Germania è aumentata del 3,3% circa, per una superficie pari a 1.516 kmq. Questo incremento equivale a una crescita di 104 ettari al giorno. Nei quattro anni precedenti (2001 – 2004) si attestava ancora a 115 ha. Se si può dunque registrare una flessione nella dinamica di occupazione di suolo, altrettanto evidente risulta la distanza dall’obiettivo 30 ettari.

L’analisi della serie storica dei dati dimostra chiaramente le tendenze in atto: il territorio urbano è in continua crescita e ha ormai superato la soglia del 13% della superficie nazionale. Si espande anche il territorio naturale che ormai occupa un terzo esatto del territorio complessivo. Il perdente risulta essere, invece, il territorio agricolo, orientato a finire sotto la soglia del 50%. Il suolo occupato per fini urbani non può, però, essere equiparato al suolo impermeabilizzato. Il “suolo urbano” include, infatti, anche una notevole quantità di superficie non edificata e non impermeabilizzata. Si tratta, ovviamente, delle aree di pertinenza degli edifici non sempre e non necessariamente lastricate. Ma si tratta soprattutto delle superfici per usi ricreativi, parchi urbani e impianti sportivi che, secondo gli ultimi dati disponibili, ammontano all’8% della superficie urbana in Germania. Nell’arco temporale dal 2005 al 2008 hanno contribuito in maniera decisiva all’aumento dell’occupazione di suolo: 45 ettari al giorno sul totale di 104.

Nell’insieme, la dinamica che sta alla base delle trasformazioni degli usi del suolo può essere letta studiando gli incrementi percentuali dei tre territori, quello urbano, quello agricolo e quello naturale. Dai tassi di crescita risulta chiaramente come essi siano sempre positivi, per quanto riguarda il territorio urbano, ma decrescenti negli ultimi tre quadrienni. Nel territorio agricolo sono costantemente negativi e di grandezza variabile, soprattutto in funzione dell’avanzamento del territorio naturale. Oltre che da parte dagli usi urbani, il territorio agricolo sembra dunque subire una pressione anche da parte del territorio naturale. Anche in Germania si avvertono dunque fenomeni di abbandono degli spazi dell’agricoltura, a partire da quelli meno accessibili e meno redditizi, e un conseguente avanzamento della superficie arbustiva e boscata.

Ciò che qui ci interessa di più sono però i fenomeni legati al consumo di suolo urbano. Come si è visto, la progressiva urbanizzazione continua con tassi molto elevati anche se, lentamente calanti. È difficile capire se ciò sia dovuto a una progressiva presa di conoscenza del problema, alle politiche messe in campo finora oppure se sia semplicemente riconducibile alle fasi del ciclo economico. Certo è che la tendenza in atto non basta a raggiungere l’obiettivo dei 30 ettari al giorno entro il 2020 .

È opinione diffusa che la difficoltà a contenere l’espansione urbana sia legata soprattutto alla tipologia insediativa della casetta unifamiliare, parte essenziale del sogno tedesco di progresso, che si vedrebbe minacciato da politiche di contenimento urbano. I dati recenti sembrano però smentire quest’ipotesi.Nel quadriennio dal 2005 al 2008, la crescita del suolo edificato per usi civili ammonta ad appena il 29% dell’incremento complessivo della superficie urbana (437 km2 su 1.516 km2) mentre risultano determinanti gli incrementi delle superfici per la ricreazione (656 km2) e per la mobilità (328 km2). Se nel quadriennio precedente (2001-2004) la superficie edificata, sia residenziale che produttiva, costituisce ancora più della metà dell’incremento complessivo e un ulteriore 20% deriva dalla costruzione di strade, dal 2005 al 2008 prevalgono gli usi di verde urbano (35%), di verde sportivo (7,8%), di superfici per la mobilità diverse dalle strade (interporti, porti, scali ferroviari, eccetera, pari al 16,1%). Insomma, nell’ultimo quadriennio il nuovo impegno di suolo per edifici e strade pesa appena il 38% sulla crescita complessiva delle superfici urbane, mentre aumenta notevolmente il fabbisogno di spazio per aree a verde attrezzato e per le funzioni della mobilità diverse dalle strade, raggruppabili nel termine di logistica. Ne emerge così una nuova e diversa struttura della crescita urbana.

3. Cooperare, gestire, comunicare

Da tempo la comunità scientifica è consapevole della necessità di sperimentare nuove strade di fronte ai cambiamenti strutturali in atto. In Germania, le linee di ricerca più fertili nel campo delle politiche urbanistiche di contenimento del consumo di suolo sono riconducibili ai concetti di cooperazione, management e comunicazione.

Alla cooperazione nei processi di piano spetta un ruolo particolare nella ricerca di maggiore efficacia delle politiche di riduzione del consumo di suolo. La cooperazione può riguardare ambiti istituzionalmente definiti (per esempio le regioni) oppure può essere limitata a insiemi di comuni, riuniti ad hoc, per affrontare problemi specifici. In Germania, la cooperazione intercomunale non è nuova e avviene, di norma, nella forma di associazioni fra comuni. Come anche in Italia, le associazioni vertono generalmente sulla fornitura di servizi di base ma possono essere investite anche dalle competenze di pianificazione urbanistica. La differenza fra cooperazione intercomunale e cooperazione regionale sta nel fatto che la prima è volontaria ed è limitata ad attori accomunati soltanto da fattori di vicinanza, mentre la seconda è istituzionalizzata e riguarda attori legati anche da aspetti funzionali (Fürst e Knieling in ARL, 2005). Essa trova la sua principale applicazione nella formazione del piano regionale. Il sistema di pianificazione assegna, in Germania, al piano regionale il ruolo di indirizzo della struttura insediativa che viene poi concretamente disegnata al livello locale (comunale o intercomunale) attraverso gli strumenti urbanistici di destinazione d’uso dei suoli. In questo quadro, la pianificazione regionale detiene un ruolo centrale nella promozione dello sviluppo insediativo sostenibile (BFN, 2006). Questa sua funzione è definita nella legge urbanistica federale (Par. 7, comma 2 e seguenti ROG) e nelle leggi dei singoli Länder. Al di là degli aspetti gerarchici formali, la formazione dei piani regionali è però basata, ogni volta con modalità differenti, sulla cooperazione fra regione e comuni. In tempi recenti, nel concreto svolgere dei giochi di piano, il ruolo degli enti si è inoltre arricchito di funzioni inedite di consulenza e mediazione (RSO, 2008). Il progressivo affermarsi di ruoli e competenze non codificati dalla legge ha dato un forte impulso alla cooperazione intercomunale informale. In molti casi, dove questa è orientata specificamente verso i problemi di contenimento del consumo di suolo, le politiche di sviluppo urbano sostenibile dimostrano un deciso miglioramento di performance . Come è però noto, ogni cooperazione comporta necessariamente dei costi transazionali che, a meno di incentivi specifici, sono accettabili soltanto in contesti di particolare pressione (Bleher, 2006). Ne consegue che la cooperazione intercomunale, in quanto volontaria, avviene solo laddove il problema del consumo di suolo è particolarmente sentito, vuoi per fattori esogeni, vuoi per fattori endogeni.

Nel caso della Germania, i principali fattori di pressione esogena sono la globalizzazione dell’economia che necessita azioni a livello regionale, l’orientamento sovracomunale delle politiche strutturali europee e i cambiamenti nella struttura socio-economica dei singoli Länder, soprattutto nella Germania dell’Est. Il primo fattore di pressione endogena che spinge alla cooperazione intercomunale è, invece, la difficile situazione finanziaria dei comuni; un secondo fattore è rappresentato dalla scarsità di aree disponibili nelle città capoluogo e l’indiscutibile appartenenza della maggior parte delle città ad aree metropolitane vaste (Fürst, 1999). Come ulteriore fattore endogeno possono essere citate le politiche di attrattività che vengono spesso promosse, a livello regionale, per attirare investimenti privati importanti. Se l’ambito di applicazione delle politiche sperimentali di contenimento urbano è quello intercomunale, gli strumenti si basano generalmente sui metodi di management dei suoli. Nella letteratura tedesca, con questo termine si intende la combinazione di strumenti giuridici e consensuali per la promozione di uno sviluppo insediativo rispettoso della risorsa suolo (Löhr e Wichmann, 2005). L’approccio prevede una maggiore sensibilità rispetto al patrimonio edilizio e urbanistico esistente, misure specifiche per l’attivazione di potenziali di spazio all’interno del perimetro urbanizzato e strumenti di tutela degli spazi aperti. Come nelle scienze di gestione aziendale, anche il management dei suoli è strutturato in fasi diverse (Einig, 2007):

- - analisi e valutazione delle riserve e dei potenziali edificatori;

stima dei fabbisogni futuri;

- concertazione di obiettivi ed elaborazione di scenari di sviluppo condivisi;

- valutazione dei diversi scenari;

- messa a punto di strumenti di attuazione;

- monitoraggio dello sviluppo insediativo.

Numerosi casi di studio hanno dimostrato che, generalmente, il potenziale edificatorio rilevabile nel patrimonio urbanistico esistente supera il fabbisogno di spazi programmabile nell’arco temporale della pianificazione urbanistica (10-15 anni). Gli studi hanno però anche messo in evidenza che lo “sviluppo urbano interno” (densificazione, riabilitazione, in generale trasformazione) non avviene spontaneamente e non si autoalimenta. La distribuzione spaziale, la frammentazione e la disponibilità dei potenziali edificatori, ma anche la moltitudine di attori da coinvolgere oppure le specifiche tendenze sociali sono altrettanti ostacoli alla trasformazione del patrimonio urbanistico esistente (RSO, 2008). Oltre a un nuovo strumentario tecnico è dunque necessaria la messa in rete degli attori e degli stake-holder dell’arena decisionale.

Fin dal 2004, nell’ambito dell’obiettivo 30 ettari è stato istituito il fondo di ricerca REFINA (Forschung für die Reduzierung der Flächeninanspruchnahme und ein nachhaltiges Flächenmanagement), dotato di 22 Mio. di Euro, con il quale sono stati finanziati progetti di ricerca nell’ambito della comunicazione ambientale: comunicazione fra istituzioni diverse, fra interessi confliggenti, fra linguaggi disciplinari distinti. Forme nuove di comunicazione per sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alle strategie di uso sostenibile della risorsa suolo, ma anche forme di coinvolgimento diretto dei proprietari, di discussione con le famiglie in procinto di trasloco, di inclusione di investitori privati.

Come componenti delle politiche di sviluppo sostenibile gli strumenti di comunicazione vanno ben oltre a un ruolo soft di mero affiancamento degli strumenti giuridici e di incentivazione economica. Come si è visto, non basta modificare le leggi o introdurre nuove tasse per garantire l’efficacia di politiche così strettamente intrecciate con interessi economici e stili di vita come quelle di riduzione del consumo di suolo. Appropriate strategie comunicative sono indubbiamente di enorme importanza nell’implementazione e nell’accettazione della strumentazione hard, soprattutto se possono essere intese come processi di apprendimento sociale.

Il ricorso alla comunicazione è stato affrontato da due punti di vista diversi: elemento di processi partecipativi di agenda 21 locale da un lato, quadro di riferimento di strategie di marketing dell’abitare in città dall’altro. Da un lato, dunque, la comunicazione è servita per sensibilizzare l’opinione pubblica e per incentivare scelte e stili di vita responsabili. Dall’altra parte, invece, le strategia di comunicazione erano funzionali al marketing dell’abitare in città, promuovendo l’incremento di qualità della vita e delle localizzazioni urbane. Infatti, la tematica dell’abitazione include un importante potenziale di marketing (BMVBS/BBR 2007; in particolare sul tema del marketing dell’abitare in città Urban Task Force, 1999). Per attingere a questo potenziale è però necessario riconoscere e valorizzare le caratteristiche architettoniche e urbanistiche delle città, ma anche le loro risorse culturali, economiche e sociali. Solo successivamente è possibile individuare attori e partner per una nuova strategia di sviluppo insediativo sostenibile basato sulla sinergia fra utenti e investitori (Kriese 2009).

4. Conclusione

La ricerca e la sperimentazione di strumenti e politiche per la riduzione della crescita urbana si presenta, in Germania, come un campo scientifico particolarmente fertile. Ne sono testimoni le numerose pubblicazioni di istituti di ricerca e di istituzioni a tutti i livelli. Le dinamiche delle strutture insediative sembrano però non del tutto rispondenti agli sforzi normativi e agli obiettivi di governance: il rallentamento della crescita urbana è sensibile, ma come dimostrano i dati statistici non è ancora sufficiente per centrare l’obiettivo 30 ettari entro il 2020. In buona misura ciò è riconducibile a un’insufficiente sensibilizzazione della classe dirigente e dell’opinione pubblica.

C’è però un altro aspetto, finora non sufficientemente considerato dalla comunità scientifica. Nel caso di un’effettiva limitazione di nuovo suolo edificabile, quali sarebbero le conseguenze sui bilanci famigliari e sui costi collettivi? Quali sarebbero le implicazioni su sviluppo e occupazione? Che effetto avrebbe sugli squilibri territoriali fra comuni, fra regioni, fra Meridione e Settentrione? Quale effetto avrebbe sull’assetto istituzionale una necessaria limitazione delle autonomie locali? Si tratta di interrogativi ai quali la ricerca finora non è riuscita a rispondere con sufficiente chiarezza. Insieme alla sperimentazione di nuovi strumenti e all’elaborazione di nuovi modelli, forse è necessario partire proprio da qui: immaginare risposte semplici alle domande più difficili.

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