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Lodo Meneghetti
Dal caso Duino-Aurisina lo spunto per discutere dei poteri locali e di legalità / illegalità
17 Settembre 2004
Il Carso
"Vorrei che tornassimo indietro. Vorrei ricuperare il tempo del confronto democratico e delle discussioni sincere, del rispetto delle regole e norme severe non costruite ad arte, degli amministratori locali difensori integri dei beni comuni, dei tecnici comunali e degli urbanisti non servili consapevoli della delicatezza dei loro compiti, dei cittadini pensosi della comunità e non dell’interesse personale. Vorrei, come il giovane Marx dei Quaderni etnologici, il regresso come progresso"

Sappiamo che la cosiddetta variante agricola del piano regolatore di Duino-Aurisina non è stata approvata nella seduta del 25 agosto. Ma sappiamo che i timori espressi dal WWF sono fondati. L’esperienza ci dice che “la sagra dell’ipocrisia” (così il WWF) sfocerà alla fine nell’approvazione, magari con qualche ritocco insignificante che, dubitiamo, potrebbe accontentare l’opposizione. Il sindaco, la giunta, i consiglieri di maggioranza la vogliono fortemente questa che Predonzan ha denominato “villettizzazione del territorio”, contropartita di un surplus di voti garantiti. Il falso denunciato di una variante che il tranello nominalistico non riesce a nascondere rappresenta l’addio all’integrità e alla salvaguardia del territorio carsico, l’abolizione del milionesimo pezzo di territorio nazionale di alto valore storico, paesaggistico, produttivo. Così sia nel Malpaese, come ogni giorno da sessant’anni. Dovremmo ridiscutere la questione della democrazia locale e dei poteri assegnati ai sindaci e alle giunte (ai governatori, ai presidenti…) da un riforma che non avrebbe avuto bisogno degli anni trascorsi dall’adozione per convincermi della sua pericolosità: un’apertura a una sorta di dittatura della persona al vertice e delle oligarchie alla base. Posso dirlo serenamente, insieme ad altri vecchi insospettabili che, sembra ora un paradosso ma non lo è, si sono battuti dal dopoguerra in favore delle autonomie locali.

Salzano ha manifestato i propri dubbi sul funzionamento delle nuove amministrazioni dopo le elezioni di giugno vinte dal centrosinistra. Penso che comprendessero la preoccupazione circa, appunto, i poteri che oggigiorno (vedi anche il progetto della destra riguardo alla figura del primo ministro) la cultura media dei politici, non esclusi certi all’opposizione, vuole sempre più ampi e forti e concentrati anche nella singola persona, in omaggio a un principio di assoluta stabilità governativa da cui non può non conseguire l’aumento della debolezza delle minoranze: già ora penosamente respinte come in ricetti medievali dove non possono combattere ad armi pari sul terreno, non riescono ad attaccare con qualche speranza, al contrario devono condurre l’estrema difesa buttando a casaccio roba dall’alto dopo aver bruciato le scale di legno.

I poteri personali e oligarchici nelle amministrazioni locali dei tre livelli ci vietano l’uso del vecchio linguaggio. Esempio: per noi la locuzione “sindaco democratico” era peculiare; il sindaco era primo fra i pari (e “democratico” significò, ad un certo momento della battaglia politica, “di sinistra”). La nuova definizione dovrebbe essere “sindaco padrone”, padrone altresì spesso arrogante anche perché sostenuto da un’uguale vocazione degli assessori. Ancora l’11 agosto scorso Salzano si è sentito costretto a ribadire la sua posizione – da tanti altri di noi condivisa e manifestata in Eddyburg – sullo scandalo dell’auditorium di Ravello, giacché l’insolente tracotanza del sindaco e dei colleghi di giunta, purtroppo apprezzata addirittura da Bassolino per umiliazione dell’amico napoletano Eddy, è cresciuta a un tal grado che li colloca, a mio parere, fuori della democrazia. Lo sapete: se la costruzione dell’auditorium è inammissibile a causa delle regole del piano, dunque procedere sarebbe illegale, le si modifichi ad hoc per ammetterla. Si commetteranno due reati, due atti illegali, non uno solo, perché una variante ad hoc, in realtà ad personam, strombazzata prima a destra e a manca è già fuori degli obblighi di correttezza. Ma cosa importa al nuovo tipo di amministratore podestarile?

Che dire, noi milanesi, del sindaco Albertini e della sua giunta che lasciano Milano in mano a imprenditori e impresari edili, finanzieri, commercianti, signori della moda? A costoro il compito liberista di negare nei fatti le regole dopo che la giunta le ha negate in documenti ufficiali curiosamente scritti da colleghi di una sinistra culturale denominata cinica (o postmoderna). Così ci siamo goduti in questi anni l’illegalità sostanziale di interventi quali la nuova Bicocca di Tronchetti Provera, colossale “variante”, espansione urbana fuori di qualsiasi cenno di pianificazione almeno a scala comunale (peraltro insufficiente in situazioni di gigantismo metropolitano come quello milanese) e persino di una qualche idea di città pubblicamente espressa. Discussioni? Sì, intime, riservate, signorili, quelle richieste dalla contrattazione/negoziazione (ah! la geniale anticipazione della proposta Lupi di nuova legge urbanistica nazionale) fra l’ex industriale, tanto incapace di reggere il compito di produrre beni e profitto quanto pronto a recitare da protagonista nel campo della rendita fondiaria/edilizia, e un’amministrazione pubblica prona, adorante. E oggi? Dobbiamo goderci, fra un mucchio di annose illegalità ritenute “minori” (per esempio, quei 16.000 primi casi di neo-condono emersi appena si era vista l’occasione dell’ennesima sanatoria mentre era lontanissima dalla conclusione – e lo è tutt’oggi – la regolarizzazione dell’immenso abusivismo anteriore), l’osceno “maggiore” stravolgimento della linea del cielo di Milano a causa dell’applicazione senza freni della famosa legge regionale cosiddetta dei sottotetti (vedi nel sito i miei interventi del 10.12.03 e del 24.6.04): una dimostrazione di come si può fare a pezzi una città, certe strade, certe case mediante l’impiego di una legge ad hoc: precisamente come a Ravello cambiare le norme (a Milano relative all’inabitabilità dei sottotetti) per rendere legale l’illegale. Ci sovrastano ormai poco meno che 4.000 casi di interventi pesantissimi, ossia rifacimenti radicali con vasti ampliamenti, nuove edificazioni aeree, trasformazioni irragionevoli: il tutto riguardante edifici di buona e alta qualità, vale a dire dotati di una loro forma architettonica dignitosa quando non addirittura di un’assoluta bella presenza ottocentesca o novecentesca. E nuovi progetti e attuazioni premono.

Su “la Repubblica” del 13 settembre Pietro Citati racconta il caso del sindaco di Welsberg (Monguelfo nella ridicola obbligatoria versione italiana), provincia di Bolzano. Verso la fine di ottobre del 2001 la combinazione fra declassamento del sovrintendente, poteri del sindaco, onnipotenza della giunta provinciale ha ottenuto la demolizione, voluta ostinatamente da Friedrich Mittermair, di un vecchio edificio adibito a pretura dotato di parti del XV e XVI secolo. Questa volta non tutto è andato liscio al molto energico personaggio. Dopo diversi interventi di Consiglio di stato, Ufficio di tutela dei beni culturali di Bolzano, Tar e “non so quanti altri istituti” esigenti la tutela dei ruderi, nel giugno scorso il sindaco è stato processato al tribunale di Bolzano. A una richiesta del P. M. di cinque mesi di reclusione il giudice Carla Scheide ha risposto con una condanna a dodici mesi di reclusione e ad altrettanti mesi di interdizione dai pubblici uffici. “Mai in Italia – scrive Citati quasi che il Sud Tirolo non vi appartenga – potrebbe accadere qualcosa di simile: un sindaco condannato a un anno per aver offeso un vecchio edificio”. Eppure, penso, le province autonome e le regioni a statuto speciale godono di privilegi che, a sessant’anni dalla fine della guerra sarebbe ora di giudicare anacronistici. I poteri autonomi erano già molto estesi e indiscussi ben prima della riforma relativa alle amministrazioni locali normali; sarebbero occorse riforme per diminuirli. Si aggiunga alla situazione abnorme dei poteri personali e oligarchici privi di controlli, salvo quelli occasionali della magistratura, l’altra ugualmente eccezionale, cioè il trasferimento di somme dallo stato le quali, paragonate ai finanziamenti delle regioni a statuto normale, rivelano valori pro capite del doppio, triplo e più. Si concluderà che quella specialità e autonomia funzionano a piacere degli amministratori senza giustificare esattamente la destinazione politica ed economica delle risorse avute in dono: soprattutto in merito alle politiche urbanistiche ed edilizie, città, casa, territorio, paesaggio. A questo proposito l’Alto Adige, nonostante il sindaco pazzo di Welsberg, è sempre parso a chi lo conosce nel complesso ed evita ogni esagerata laudatio una specie di paradiso: opposto, che so, a una Sicilia inferno, regione a statuto speciale epitome di tutti gli abusi, di tutte le convalide politiche “legali” delle illegalità, insomma di tutte le realizzazioni più stravolgenti ma convenienti ai potenti che la concentrazione e l’indipendenza assoluta, personali e oligarchiche, dei poteri ha reso facilissime: una volta tacitato il popolo con l”equa redistribuzione” dei trasferimenti statali che i clan e il primo di essi, il governo regionale, sono in grado di attuare con storica, siciliana finezza. Lo stato disastroso delle città, del territorio, delle zone monumentali e così via è una risultante geometrica, non un accidente casuale nel corso astuto della storia.

E per quale motivo non ci occupiamo mai – urbanisti, uomini di cultura, politici attenti – di un’altra regione autonoma, la Valle di Aosta, circa la quale può capitarci di sentir cantare che T.v.t.b.m.l.m. ( Tout va très bien madame la marquise) poiché le statistiche indicano un tasso di abusivismo edilizio dello zero virgola…? Grazie tante. Ecco un caso perfetto di legalitàlocale speciale, soddisfatti e vanterini i bravi centomila valdostani tutti ricchi o benestanti: per benevolenza statale ma soprattutto per la rendita e il reddito edilizi enormi e capillari generati da piani “regolari” compiacenti che i due livelli dei poteri, regionale e comunale, varano da decenni con ritmo allegro costante e coerente all’obiettivo economico-sociale. Favolosa come le masche dei recessi montani questa legalità valdostana convenientemente costruita, e tipica come la fontina. Ogni visitatore non cieco sa cosa ha comportato: la violazione e poi la distruzione dei caratteri storici, paesaggistici e architettonici della grande valle; non bastano i castelli o le residue case lignee coi loro bravi funghi pietrosi di sostegno a riscattarne la rovina. Il Breui/Cervinia era già infrequentabile quarant’anni fa, tanto ripugnava ai nostri sensi la sua caotica bruttezza.

Vorrei che tornassimo indietro. Vorrei ricuperare il tempo del confronto democratico e delle discussioni sincere, del rispetto delle regole e norme severe non costruite ad arte, degli amministratori locali difensori integri dei beni comuni, dei tecnici comunali e degli urbanisti non servili consapevoli della delicatezza dei loro compiti, dei cittadini pensosi della comunità e non dell’interesse personale. Vorrei, come il giovane Marx dei Quaderni etnologici, il regresso come progresso.

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