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Sergio Rizzo
Malpensa, il parco del Ticino e i dubbi sulla terza pista
21 Giugno 2010
Padania
L’inesorabile schiacciasassi della politicanza padana avanza fregandosene di qualunque logica ambientale o economica, salvo gli affari propri. Il Corriere della Sera, 21 giugno 2010 (f.b.)

ROMA— Domani la Regione Lombardia potrebbe dare il via libera alla terza pista di Malpensa. Ed è inutile aggiungere che gli ambientalisti sono furibondi. Le motivazioni delle loro rimostranze sono note: l’ampliamento dell’aeroporto, uno dei più problematici d’Italia, comprometterebbe il parco del Ticino, riducendo ancora le aree naturali. Meglio, secondo un documento congiunto di Wwf e Fondo per l’ambiente italiano, sarebbe investire dei soldi per migliorare i collegamenti pubblici, ridefinire un piano aeroportuale per tutto il Nord Italia, ormai pieno zeppo di scali, e magari risolvere la vecchia faccenda delle due piste troppo vicine senza farne una terza. Perché Malpensa ha una particolarità tutta sua: le due piste sono state costruite troppo vicine, fatto che rende praticamente impossibile, in base alle norme internazionali, il loro utilizzo simultaneo.

Difficile dire come si potrebbe tecnicamente rimediare a questo problema senza fare un nuovo nastro d’asfalto. Ma al di là delle pur importanti questioni ambientali (la Lombardia è un’area altamente urbanizzata e il consumo del territorio ha raggiunto ormai livelli inaccettabili, come nel resto del Paese), la decisione che la Regione si appresta a prendere desta molti interrogativi.

Sappiamo che la terza pista di Malpensa è il pilastro del mastodontico piano di sviluppo (1,6 miliardi di euro entro il 2020) della Sea, la società pubblica guidata da Giuseppe Bonomi. Piano che guarda fra l’altro all’Expo 2015, evento dai contorni ancora molto fumosi, ma saldamente, con i suoi 15 miliardi di euro di investimenti, nelle mani delle forze politiche (il Pdl, con derivazioni cielline, e la Lega Nord) che controllano gli enti locali della Lombardia. Piano che soprattutto dovrebbe servire a dare un’identità all’aeroporto che sta a cuore soprattutto alla Lega Nord, partito che ha in quella zona il suo storico bacino politico-elettorale.

Una decina d’anni fa era stato immaginato per quello scalo un futuro da hub, cioè da base operativa per l’Alitalia alleata della olandese Klm. Poi l’operazione è saltata e Malpensa è rimasta in una specie di limbo, condizionato di volta in volta dagli umori della politica. Finché la compagnia di bandiera ha deciso di mettere definitivamente nel cassetto il progetto, tirando anche un respiro di sollievo: se è vero che mantenere un numero rilevante di voli su Malpensa costava almeno 200 milioni di euro l’anno.

Allora si è pensato che potesse diventare un quartier generale per le compagnie, come la tedesca Lufthansa, vogliose di fare concorrenza all’Alitalia, alla quale nel frattempo era stato consegnato il monopolio della rotta Milano Linate-Roma Fiumicino. Insomma, una specie di spina nel fianco della Cai.

Anche quel disegno ha incontrato però non poche difficoltà, segnalate per esempio dalla decisione, presa a febbraio dalla compagnia germanica, di sospendere la linea Malpensa-Fiumicino, giudicata «poco conveniente». Il fatto è che lo scalo varesino si trova pure in una posizione infelice: sempre più assediato da altri aeroporti che succhiano traffico all’aera più ricca d’Italia. Né la lieve ripresa dei passeggeri registrata nei primi mesi di quest’anno ha potuto compensare il crollo del 19% accusato nel 2008 e quello ulteriore di oltre l’8% nell’anno seguente. Vedremo ora quali altri risultati darà la strategia di «Airport driven hub» (parole di Bonomi).

Ma non è forse legittimo chiedersi se il progetto della terza pista non risponda più a un’esigenza della politica che a quelle dei viaggiatori?

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