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Aldo Schiavone
La democrazia svuotata
29 Marzo 2010
Articoli del 2010
Il primo risultato elettorale: il forte astensionismo. Segno (ulteriore) di crisi della politica dei partiti, e segno di crisi della democrazia tout court. La Repubblica, 29 marzo 2010

Quel che si temeva sta purtroppo accadendo, e in una misura che sembra assai grave. Le astensioni dal voto crescono – talvolta in modo impressionante – in ogni regione: sette punti in meno sono un´autentica voragine. Il Paese è stanco, infastidito, preoccupato, deluso e in molti – troppi – stanno decidendo di allontanarsi dalle urne. È inutile nascondersi dietro l´alibi dell´inevitabile adeguamento a un astensionismo presente in tutte le consultazioni elettorali dell´occidente più avanzato. Noi eravamo sempre stati in controtendenza – più o meno accentuata – rispetto a un simile dato: e la novità di queste ore non promette nulla di buono. È il segno di un disagio tutto italiano – una lucida disaffezione, una calcolata risposta a una deriva giudicata evidentemente insopportabile – che merita molta attenzione. I risultati che tra poco conosceremo non potranno cancellare, comunque, l´imponenza del fenomeno: qualcosa di più di un primo campanello d´allarme – un autentico segnale di pericolo per il nostro futuro democratico.

Due considerazioni mi sembra si impongano subito. La prima – che è anche la più ovvia – riguarda lo scollamento ormai quasi drammatico fra la politica, per come viene ormai quasi universalmente percepita, e i bisogni, le domande, le aspirazioni del nostro popolo. In questo senso, è impossibile non vedere nel rifiuto del voto una risposta di protesta, che si avvicina a un autentico grido di sdegno, un´esigenza di sottrarsi a un gioco cui non si vuole più prestare fiducia, né dare legittimazione - "non in mio nome". Come è impossibile non rendersi conto, da queste cifre, che l´opposizione fa molta fatica a intercettare questa ripulsa, e tradurla in un disegno positivo, in un´azione affermativa, in un progetto di speranza: e credo che la difficoltà riguardi soprattutto il rapporto con le giovani generazioni.

La seconda osservazione tocca invece quella che potremmo definire la qualità della democrazia. Se si svuota giorno dopo giorno il contenuto partecipativo dell´esperienza democratica, la pienezza delle sue articolazioni e dei suoi equilibri, la sua capacità di coinvolgimento quotidiano nelle scelte e nelle decisioni collettive, se la si riduce a puro assenso alle azioni di un leader, come la si sta cercando di impoverire nella sua versione berlusconiana – votatemi, e lasciatemi fare – è inevitabile che la stessa cerimonia del voto perda di senso nella percezione di molti, scada a rituale in fondo inutile, da cui ci può facilmente distogliere. Questa, in un certo senso, è l´altra faccia del populismo: il lato oscuro della passività che esso finisce con l´indurre, e che può diventare autentica espropriazione.

E infine. È difficile sottrarsi anche all´impressione che un astensionismo così alto suoni comunque come un rifiuto di quella mobilitazione plebiscitaria invocata dal Presidente del Consiglio come il rimedio di tutti i (suoi) mali. Esso appare piuttosto come il segno di una separazione, di una mancata condivisione rispetto a chi ama presentarsi come un candidato universale, circondato di irresistibile favore. È il segno di un Paese che si scopre, ancora una volta, drammaticamente incompiuto, eternamente sospeso tra dannazione e riscatto.

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