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Paolo Berdini
Trasformazioni urbane e governo del territorio metropolitano
23 Febbraio 2010
Roma
Le conseguenze urbanistiche della spoliazione progressiva dell’amministrazione pubblica a vantaggio di pochi predatori. Relazione al convegno “Un futuro per Roma”, 22-23 febbraio 2010 (m.p.g.)

1. La città è diventata privata

Nel mese di gennaio Il Sole 24 Ore ha chiarito i motivi per cui –a distanza di cinque anni dall’approvazione del progetto- non prendono ancora avvio i lavori di ristrutturazione dei Mercati generali dell’Ostiense. Afferma il giornale che il gruppo Lamaro sta attendendo l’erogazione di un prestito di 200 milioni di euro da parte della Cassa Depositi e Prestiti.

La prassi di accensione di mutui per realizzare qualsiasi intervento di interesse pubblico è interdetta a tutti i comuni italiani a causa di continui provvedimenti bipartisan tesi –ufficialmente- a limitare l’indebitamento delle amministrazioni locali. Le regole non valgono pertanto allo stesso modo: il settore pubblico non può compiere le stesse operazioni che sono invece consentite ai privati, con l’aggravante che la Cassa è un istituto di credito pubblico (il 70% appartiene allo Stato): la collettività presta soldi a tassi ridotti ai privati ma non alle amministrazioni pubbliche.

Non c’è nessun altro paese occidentale che abbia avviato politiche così inique e penalizzanti per le amministrazioni pubbliche: lì rimane infatti il senso dello Stato e della fondamentale importanza delle azioni delle amministrazioni pubbliche. Da noi le amministrazioni locali sono state messe in ginocchio, sottoposte a tagli di bilanci insensati soprattutto se confrontati con l’allegra prassi che lo scandalo della Protezione civile sta mettendo in luce.

Attraverso una campagna mediatica efficacissima ci è stato detto che “non c’erano più risorse pubbliche” e in questo modo i comuni sono stati costretti da un lato a svendere il patrimonio pubblico e dall’altro lato a incentivare l’unica fonte di entrata su cui non si attua nessuna politica di controllo, e cioè quella legata all’aumento di concessioni edilizie. Si aumenta a dismisura l’edificazione per sopperire ai mancati trasferimenti di risorse pubbliche che vengono invece sperperate nei modi che la magistratura fiorentina ha messo sotto gli occhi degli italiani.

E, purtroppo, non è vero neppure che il comune di Roma in particolare soffra in ogni settore dei tagli alla finanza pubblica. Dobbiamo questa preziosa ricerca a Vittorio Sartogo e all’associazione Calma: da quando (agosto 2006) l’ultimo governo Prodi ha fornito di poteri speciali in materia di mobilità il sindaco di Roma al novembre 2009 sono state emesse 246 ordinanze per una spesa totale di 760 milioni di euro senza rispettare le regole di affidamento europee. Come vedete, ognuno ha la sua protezione incivile. Intanto all’ospedale Pertini di Pietralata viene chiesto ai parenti dei ricoverati di portare le siringhe. Alcuni di essi collaborano alla pulizia del nosocomio. Analoghi fenomeni avvengono nelle scuole dell’obbligo e in ogni altro comparto della sfera pubblica, ad iniziare dal settore giudiziario.

A distanza di quindici anni dal suo trionfo, il neoliberismo si svela dunque per quello che è: una gigantesca costruzione ideologica che ha coperto la vendita delle città alla peggiore speculazione parassitaria e che sta distruggendo alla radice il ruolo dello Stato moderno. Negli altri paesi europei che pure hanno subito la ricetta economica neoliberista sono stati privatizzati settori importanti dell’economia e venduti imponenti quantità di beni e aziende pubbliche. Ma hanno preservato il ruolo delle amministrazioni pubbliche. Da noi, per i ritardi storici, la cura ha prodotto un disastro di dimensioni incalcolabili. Viviamo ormai in un paese senza più una guida pubblica, lasciato in mano a scorrerie di avidi predatori. Oggi tutti possono vedere e spero che la buona politica -di cui non si vede ancora traccia- recuperi in fretta il tragico baratro in cui siamo caduti. Che questi temi vengano affrontati dalla Cgil che ha svolto coerentemente in questi anni un ruolo di difesa di alcuni ruoli dello stato nelle dinamiche sociali. Si tratta di estendere questa azione anche alla città, perché è qui che maggiormente si misurano i disastri dell’aver cancellato ogni regola affidando le sorti delle città ai privati.

2. La gigantesca area metropolitana di Roma

Cercherò dunque di sintetizzare quali siano stati i fenomeni che hanno investito la capitale e come esse abbiano provocato l’aggravamento delle condizioni di vita della parte debole della società. Il primo grande fenomeno riguarda la creazione di un’area di gravitazione metropolitana di dimensioni gigantesche che non hanno alcun confronto con le capitali europee notevolmente più grandi di Roma. Afferma la provincia di Roma che sono oltre 400 mila gli spostamenti pendolari quotidiani dall’area metropolitana ai luoghi di lavoro che non si è voluto decentrare in questi anni. La dimensione fisica dell’area è gigantesca: ci si muove quotidianamente anche da distanze superiori ai cinquanta chilometri, come ad esempio la pendolarità da Civitavecchia, Aprilia o Anzio-Nettuno soltanto per citare i casi più eclatanti. Anche dalla grande conurbazione londinese (12 milioni di residenti) ci si sposta da distanze superiori ai 50 chilometri per andare nella city. Ma ci si va con treni comodi e moderni che viaggiano a 200 chilometri orari. Lo scorso anno è stata inaugurata una nuova linea ferroviaria che dalla regione del Kent impiega 30 minuti per percorrere 70 chilometri. Per arrivare dalla conurbazione Tivoli-Giudonia (150 mila abitanti) si impiega circa un’ora su treni indecenti che viaggiano su binario unico. In Gran Bretagna ha governato a lungo Margaret Thatcher, ma nessuno ha mai pensato, come da noi, di divorare lo Stato.

Anche nella regione dell’Ile de France (11 milioni di abitanti) ci si sposta in treno per raggiungere Parigi. E nonostante la diffusione capillare della rete ferroviaria nel 2004 il sindaco di Parigi Bertrand Delanoe ha deciso di costruire una nuova line tranviaria a nord della città. E’ stata progettata, costruita e inaugurata in tre anni, senza aggirare alcuna regola.

A Roma si è consentita una gigantesca diffusione residenziale senza realizzare linee ferroviarie: ci si sposta dunque in automobile. Ecco perché abbiamo 800 automobili ogni mille abitanti e un numero patologico di scooter. Del resto la media italiana è di 61 auto per mille abitanti rispetto alla media europea di 46. Ed è anche questo storico ritardo della città ad aver influito in questi tempi di crisi alla scomparsa della presenza di alcune imprese internazionali da decenni presenti sul territorio.

3. La grande espulsione

Quest’enorme diffusione residenziale è avvenuta per il grande processo di rivalutazione del comparto immobiliare che abbiamo conosciuto e su cui esiste molta letteratura. E’ forse più interessante ragionare sulle differenze dei valori immobiliari tra le varie zone di Roma e la Provincia sulla base dei dati dell’Agenzia delle Entrate. I valori immobiliari rilevati nel primo semestre 2009 si attestano a 9.000 euro/mq nei rioni più qualificati come Campitelli. Quando si inizia ad allontanarsi dal centro si raggiungono i seguenti valori immobiliari:

- periferia storica: valori medi di 7.000 euro/mq;

- periferia interna al Gra: valori medi di 5.500 euro/mq;

- periferia esterna al Gra: valori medi di 4.000 euro/mq;

- prima corona dei comuni metropolitani: valori tra 1.700 e 3.300 euro/mq (v.medio 2.500);

- seconda e terza corona dei comuni dell’area romana: valori tra 1.500 e 2.300 euro/mq (1.900);

- comuni più lontani e a basso livello di accessibilità: valore medio di 1.400 euro/mq.

E’ noto a tutti che i valori reali delle transazioni immobiliari sono superiori a quelli appena elencati: non varia però l’andamento relativo. Più di centomila famiglie sono state espulse da Roma perché non ce l’hanno fatta a sostenere l’impennata dei valori delle case e quelli degli affitti.

Una delle obiezioni che ci è stata spesso rivolta quando abbiamo denunciato lo svuotamento residenziale di Roma è che la città appariva al contrario piena. E’ vero. Le case delle famiglie che si sono trasferite lontano sono stata affittate a studenti e immigrati in numero superiore al numero dei componenti delle famiglie che le abitavano. Insomma, i 100 mila studenti fuori sede che frequentano le università romane e i 400 mila immigrati che vivono in città sono stati una delle cause della grande espulsione. Si guadagna di più ad affittare una stanza o un posto letto e ciò ha fatto lievitare ulteriormente i valori degli affitti. Le statistiche che fornisce l’Istat ci dicono che nel Lazio esistono 2.431.000 abitazioni, mentre il numero delle famiglie è di 1.985.487. E' dunque certo che rispetto al fabbisogno teorico ci sono già 450 mila alloggi in più. E' un numero enorme, di cui Roma detiene la gran parte, circa 250 mila alloggi. Ma è ragionevole pensare che 100 - 150 mila alloggi siano occupati ma non risultano alle statistiche ufficiali. La bella campagna promossa dalla Cgil contro l’evasione fiscale dovrebbe aprire anche questa importante questione.

4. Quattro progetti pubblici per l’area metropolitana

Roma dunque non è vuota, ma le famiglie economicamente deboli sono dovute andare a grandi distanze dalla città. Le loro condizioni di vita si sono aggravate. Dal punto di vista della qualità della vita perché perdono 3 ore di vita al giorno soltanto per spostarsi, un mese e mezzo della propia vita in fila. Dal punto di vista economico perché spendono molto di più di un “romano” per spostarsi. Si tenga in questo senso conto che la prospettiva di istituire pedaggi nella rete stradale primaria porterà un ulteriore decurtazione del reddito di queste famiglie, come è già avvenuto per gli abitanti di Ponte di Nona e Case Rosse che pagano per percorrere il tratto urbano dell’A24. Dal punto di vista della prospettiva sociale perché la qualità dei servizi scolastici, sociali e sanitari sono notevolmente minori –in genere, ovviamente- di quelli di Roma. Non è soltanto la generazione che si è trasferita furori Roma ad aver diminuito la sua prospettiva di riscatto sociale, ma sono anche le generazioni future che ne risentiranno. Una prospettiva iniqua e inaccettabile che può essere attenuata attraverso la pianificazione urbanistica. Era quello che affermava 60 anni fa un grande personaggio come Adriano Olivetti: il territorio è la proiezione esterna della vita dei salariati e l’urbanistica è il metodo pubblico che permette di migliorarne la vita.

Oggi che l’urbanistica contrattata, i diritti edificatori e le compensazioni hanno abolito ogni regola dobbiamo ricostruire il volto pubblico della nostra città e dell’area metropolitana. A partire dal perseguire quattro indispensabili obiettivi. Quattro progetti di chiaro impianto pubblico: le città sono beni comuni e bisogna tornare a questa semplice acquisizione storica, abbandonando ogni riproposizione mascherata di idee che hanno fallito nel ventennio liberista.

Il primo è quello di creare in temi rapidissimi una rete di trasporto su ferro efficiente e moderno. A partire dal 1993 fino all’anno prossimo l’Italia avrà speso 51 miliardi di euro per realizzare l’alta velocità ferroviaria tra Napoli e Torino. Serve il 5% degli utenti delle ferrovie. I quattro milioni della popolazione della provincia di Roma sono invece il 5% della popolazione italiana e meritano un investimento altrettanto adeguato.

Il secondo progetto è quello di definire le ipotesi di decentramento delle attività direzionali dello Stato, unico potente strumento di riequilibrio territoriale e di qualificazione dei territori. Cito soltanto il tema, ben sapendo quanto sia complesso oggi porre questa questione, sia per le occasioni mancate sia per le troppo diffuse resistenze e incomprensioni a questa prospettiva. Ma il fallimento delle centralità del piano regolatore di Roma obbliga a riaprire la questione.

Il terzo progetto è relativo alla soddisfazione del problema abitativo di almeno 100 mila famiglie che hanno il problema dello sfratto o vivono in alloggi impropri. Anche qui è necessario di operare una soluzione di continuità con il passato. In quasi anni, come noto, non sono state costruite case pubbliche, se si fa eccezione di un piccolo gruppo a Ponte di Nona. Era considerato un affronto dalla dirigenza romana dell’Acer poi promossa a livello nazionale: il pubblico si ritragga, ci pensiamo noi, in coerenza con gli indirizzi del neoliberismo. Sono stati spesi molti soldi pubblici sia per finanziare il comparto dell’edilizia convenzionata, sia per acquistare abitazioni per la popolazione romana in luoghi impensabili, Aprilia, Pomezia e tanti altri comuni. E’ indispensabile invece tornare all’edilizia pubblica senza aggettivi.

Quarto e ultimo la riqualificazione delle immense periferie urbane e metropolitane, questione che deve essere presa in carico dalle amministrazioni pubbliche perché non può esserci interesse privato. A guardarli bene, i quattro obiettivi che ho elencato sono gli stessi che delineò Antonio Cederna nella sua lucida proposta per la legge “Roma capitale”. Una legge pubblicistica in palese controtendenza nel momento in cui (siamo nei primi anni ’90) la presentò alla Camera dei Deputati. E’ stata abbandonata e il disastro che ne è seguito impone di riprenderla nella sua interezza.

5. La questione istituzionale

Manca soltanto, per concludere il mio intervento, di ragionare sulla questione istituzionale, e cioè quale sia l’istituzione più adeguata in termini di sussidiarietà a governare le trasformazioni urbane dell’area metropolitana romana, ma il compito è facilitato da quanto abbiamo fin qui argomentato. Non c’è infatti nessuna trasformazione urbana che possa essere analizzata e risolta all’interno dei confini comunali della città. Le relazioni territoriali sono così strutturate e interconnesse che non si comprende nulla di quanto sta avvenendo a Roma se non si guarda dal punto di vista della sua area metropolitana.

Ed è evidente che se non si comprendono i fenomeni non si riesce neppure a governarli. Considero dunque un grave errore quello commesso dal Governo nell’indicare nell’attuale città di Roma l’istituzione più adatta a governare i processi d’area. E’ solo tornando allo spirito del legislatore del 1990, anno di istituzione delle città metropolitane, che si può tentare di risanare i mali di Roma e della sua area. E’ solo su una nuova scala territoriale di intervento che si può invertire la china rovinosa causata dalla cancellazione delle regole.

Certo, dover constatare che la legge 142 è stata disattesa per venti anni non induce a facili ottimismi. Credo però che di fronte ad una crisi istituzionale così profonda ci siano forze, ad iniziare dalla Cgil in grado di indicare un percorso chiaro per risolvere i mali di Roma.

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