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Fabrizio Bottini
Megalopoli in fiamme?
14 Febbraio 2010
Scritti ricevuti
Che la stupidità fascistoide - e pure in malafede - di certa sedicente politica ci stia precipitando in una guerriglia diffusa mica tanto strisciante?

Padana Superiore: solo a est di Milano Porta Venezia me ne ricordo in modo preciso almeno tre, di tratti urbani fatti così. Il primo è tutta la striscia di via Padova e varie trasversali, fino al ponte della ferrovia. Il secondo sta parecchie di decine di chilometri più a est, ed è il pezzo di via Milano a Brescia, fra il ponte sulla tangenziale e l’Esselunga. Il terzo è a Verona, verso Porta Vescovo. In mezzo altri quartieri, e soprattutto lo sprawl di capannoni, villette, svincoli che diluisce anche la percezione in una confusa marmellata. Ma se “scientificamente” si fa un pochino di andirivieni fra induzione e deduzione, così a spanne, l’analogia salta a gli occhi: medesimo asse stradale padano-pedemontano, medesima collocazione semicentrale in un grande centro di occupazione, medesima composizione sociale, urbanistica: fianco a fianco degrado, facce diversissime ma vistosamente “globali”, segni di ripresa, piccole attività artigianali e commerciali, atmosfera precaria. Medesimo futuro? Questo è tutto da vedere, ma il caso di Milano (che non è ovviamente neppure il primo) dovrebbe far pensare.

Se la storia di sicuro insegna, è pur vero che ciascuno impara quanto meglio crede. Sinora pare che la risposta prevalente della “politica” (virgolette quanto mai d’obbligo) copra il breve arco qualitativo che va dalla tesi delle mele marce da isolare, alla tolleranza zero tout court. La prima caratterizza le reazioni sedicenti progressiste, e presumibilmente in buone fede, con l’obiettivo della sedicente integrazione nel tessuto locale. La seconda, via via prevalente (forse sotto sotto più diffusamente apprezzata) è quella che si ripropone a Milano e in genere nei contesti di più preponderante presenza leghista-destrorsa. In via Padova in particolare, coincidenza curiosa al punto da non sembrare neanche tale, qualche antipastino di guerriglia urbana a sfondo non direttamente politico inizia proprio con la prima amministrazione leghista qualche anno fa, e la repressione dei centri sociali a partire dal più visibile Leoncavallo (la via Leoncavallo per i non indigeni è una parallela di via Padova, un isolato di distanza).

E sono addirittura dei primissimi anni ’80 le pubblicazioni sulla formazione dei ghetti urbani, organizzati secondo le classiche modalità di certi flussi di trasporto pubblico, o di nuclei di degrado immobiliare e crollo dei prezzi, ecc. Ma la risposta, se arriva e quando arriva, è al massimo una specie di nimbysmo decisionale, dietro al quale poi come si scopre via via si nascondono miserabili appetiti immobiliari pronti a salvare a modo loro la città a colpi di piccone risanatore.

Spostando e aggravando il problema, esattamente come accade coi blitz della polizia ai giardinetti nel caso del piccolo spaccio. Quando però il problema non sono una dozzina di ragazzotti, ma parecchie migliaia di persone, famiglie, interessi economici, aspettative sociali, lo zerbino sotto il quale nascondere la polvere supera le capacità dei nostri celoduristi tutti chiacchiere e distintivo. E la cosa esplode, basta un innesco qualunque.

Se ad esempio, oltre a smettere di intascare più o meno episodicamente mazzette, chi decide in materia di urbanistica si ponesse davvero il problema della città, e non di una caricatura postuma della City Beautiful di Daniel Burnham di oltre un secolo fa, magari si potrebbe iniziare a ragionare. Ma basta vedere cosa sta succedendo per capire che così non si va da nessuna parte: la Milano da due milioni di ciellini upper-middle-class sventolata nella teoria, nei fatti tangibili, negli obiettivi del piano in formazione, non lascia un centimetro quadrato di spazio urbano, sociale, economico, a chi oggi episodicamente incendia vetrine e ribalta macchine. E ahimè probabilmente la stessa cosa vale anche per le altre strisce di precarietà globalizzata sparse per la padania (e non) di cui si parlava prima, almeno se non si inizia davvero e in modo culturalmente responsabile a cercare di superare la contrapposizione “noi” e “loro”, visto che stiamo tutti, ma proprio tutti senza alcuna distinzione, sulla medesima oscillante barca. Il diritto di voto alle amministrative è solo un piccolo inizio, ma si deve fare subito. Con quello arriverà uno stimolo costante a ripensare la città, e a aiutare a casa loro, magari con sostegno farmacologico poveracci, gli sceriffi che ci stanno rovinando presente e futuro.

Nota: qui altri fatti e commenti (f.b.)

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