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Sergio Rizzo
L’Italia che si sbriciola abita nei centri storici: a rischio una casa su tre
24 Gennaio 2010
Articoli del 2010
Equazione: a furia di investire nella cementificazione dispersa, si sottraggono investimenti alle città. La propone Il Corriere della Sera, 24 gennaio 2010 (f.b.)

ROMA— Niente meglio dei titoli dell’Ansa degli ultimi due o tre anni fa capire perché Favara è lo specchio di un Paese che si sbriciola sotto i nostri occhi. Eccone un minuscolo campionario. «Palazzina fatiscente crolla a Palermo». «Crolla parte facciata casa a Venezia, evacuate tre famiglie». «Crolla solaio abitazione nel Barese, muore un’anziana». «Crolla facciata casa nell’Imperiese». «Crolla metà abitazione, sfiorata tragedia nel Cagliaritano». «Bimbo cade da balcone stabile fatiscente». «Crolla tetto abitazione centro storico di Osimo». «Crolla casa nel Materano, morto bambino di sette anni». «Crolla cornicione palazzo a Napoli, feriti due passanti».

Si potrebbe andare avanti per pagine, senza che questo freddo elenco ci dica perché l’Italia cade a pezzi. E chi ne fa le spese, alla fine, sono sempre i poveracci. Scorrendo un recente dossier del Wwf si scopre che dal 1994 sono stati riempiti di costruzioni 3,5 milioni di ettari, dei quali due milioni di terreni agricoli: come Lazio e Abruzzo messi insieme. Ormai è impossibile tracciare un cerchio di 10 chilometri di diametro «senza intercettare una zona costruita». Un fatto che indigna la Coldiretti: «In Italia i centri storici sono degradati perché si preferisce cementificare le campagne dove negli ultimi 40 anni è scomparso quasi un terzo del territorio agricolo».

L’architetto e urbanista Aldo Loris Rossi ha calcolato che un terzo del patrimonio immobiliare italiano sia a rischio. Circa 40 milioni di vani, realizzati tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1975: case tirate su senza alcuna precauzione asismica, pur essendo in zone dove la terra trema, o semplicemente costruite male. Un periodo durante il quale abbiamo assistito a un’espansione edilizia senza precedenti, proseguita selvaggiamente negli ultimi quindici anni, nonostante la popolazione sia rimasta sostanzialmente stabile. Al punto che oggi il 20% del patrimonio abitativo è vuoto: calcolo, naturalmente, per difetto, se si considerano le case abusive che continuano a spuntare come i funghi. l’Italia del piano casa e delle new town di Silvio Berlusconi è un Paese dove ci sono 120 milioni di vani abitativi, due per ogni residente. Neonati compresi. Un Paese che negli ultimi quindici anni ha approvato due devastanti condoni edilizi, che hanno regolarizzato costruzioni spesso realizzate senza osservare le minime regole di sicurezza strutturale. Soltanto in Sicilia, nei dieci anni intercorsi fra un condono e l’altro sono apparse 70.047 case abusive.

Tutto ciò è avvenuto anche a scapito dei centri storici che, appunto, cadono a pezzi. Come Favara. O Salemi, che il sindaco Vittorio Sgarbi sta cercando di salvare vendendo a un euro le case fatiscenti ai vip che si impegnano a risanarle. Meglio costruire nelle aree libere: è decisamente più redditizio. Per i costruttori come per gli amministratori. Se la stima di Rossi è realistica, significa che una casa su tre in Italia è fatiscente. Ma se è realistica anche quella della Protezione civile, allora la situazione è ancora più grave. Degli 11,2 milioni di edifici privati, 7 milioni e mezzo sono in zone sismiche. «E il 73% di questi non è protetto per il terremoto», ha detto ad Alessandra Arachi del Corriere il direttore dell’ufficio sismico Mauro Dolce.

Per non parlare del degrado del patrimonio pubblico, che il terremoto dell’Aquila, e ancora prima quello di San Giuliano di Puglia, hanno mostrato in tutta la sua spietata evidenza. Il Quaderno bianco sulla scuola messo a punto da Fabrizio Barca un paio d’anni fa rivela che, secondo alcune stime ministeriali, all’inizio di questo decennio «circa il 57% delle scuole italiane non possedeva un certificato di agibilità statica, né igienico sanitaria, e oltre il 73% era privo di certificato di prevenzione degli incendi». Secondo un’indagine pubblicata dal settimanale Panorama, nel 2008 le scuole a rischio crollo erano 9.920. In questo Paese ci sono situazioni come quella sperimentata dai vigili del fuoco di Ancona, costretti per anni ad avere il quartier generale in una palazzina dichiarata inagibile. I vigili del fuoco!

Che c’entra questo con Favara? C’entra eccome, perché dimostra quanto scarsa sia in Italia l’attenzione dello Stato e delle amministrazioni per la sicurezza. Il vicepresidente della Regione Siciliana, Michele Cimino, che oggi promette «la totale messa in sicurezza del patrimonio edilizio esistente», dovrebbe ricordare che nel 2002 i suoi predecessori in giunta approvarono la sanatoria delle costruzioni abusive sulla costa. E che il dramma della frana di Messina di qualche mese fa ha nomi e cognomi. Dal 2007 a quel terribile giorno, come ha raccontato sempre sul Corriere Marco Imarisio, la polizia municipale aveva chiesto la demolizione di ben 1.191 manufatti abusivi e pericolosi. Ma una ruspa non si è mai vista.

Ecco spiegato perché in Italia il fascicolo di fabbricato abbia incontrato così tanti ostacoli: salterebbe fuori, come dice Rossi, che una casa su tre va buttata giù o ha bisogno di interventi strutturali seri e costosi. Di che cosa si tratta? È il checkup dell’edificio fatto da ingegneri e geologi, che dovrebbe essere rinnovato ogni dieci anni. Una legge per renderlo obbligatorio sul territorio nazionale non è mai passata. La Confedilizia gli ha fatto una guerra spietata, per i costi che comporterebbe. Così la Regione Lazio, per esempio, l’ha adottato autonomamente. Ma prima il Tar, poi il Consiglio di Stato, l’hanno bocciato. E nemmeno i tentativi di ripescarlo con i piani casa regionali, hanno avuto successo. La Regione Lazio l’ha dovuto ritirare di nuovo. Mentre la Basilicata si è vista addirittura impugnare la legge dal governo. Perche conteneva l’eresia: il fascicolo di fabbricato.

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