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Il grande bluff. No al Ponte, inutile e pericoloso
21 Dicembre 2009
Il Ponte sullo Stretto
Dopo la manifestazione contro il Ponte sullo Stretto di sabato, l’inchiesta de l’Unità, 21 dicembre 2009 (m.p.g.)

«È un’opera inutile e dannosa, e non ha nemmeno un progetto definitivo»Roberto Rossi, intervista ad Alessandro Bianchi

Alessandro Bianchi è stato sempre uno dei più incalliti contestatori del Ponte di Messina. Anche quando era ministro dei Trasporti, nel passato governo Prodi, non ha mai nascosto il suo scarso feeling con un’opera dalui definita «inutile, dannosa » e per la quale, ancora, «non si conoscono bene tutti problemi legati all’impatto della struttura».

Com’è possibile che a pochi giorni dalla posa della prima pietra non si abbia ancora un quadro chiaro sui costi e benefici dell’opera?

«Semplicemente perché non è stato presentato un progetto definitivo. Le opere pubbliche hanno bisogno di tre tipi di progetti prima di poter iniziare la costruzione: quello di massima, quello definitivo, sul quale vengono rilasciate le varie autorizzazioni e fatte le verifiche ambientali, e poi un progetto esecutivo sul quale si realizza l’opera. Ecco non esiste né il progetto esecutivo né quello definitivo. Esiste solo il progetto di massima. Tutte le verifiche di impatto ambientale non si sono fatte e non si possono fare perché non c’è uno schema completo ».

I problemi strutturali sono tutti aperti.

«Certo. I geologi dell’area hanno fatto vedere che il pilone che ricadrebbe sul territorio calabrese, a Villa San Giovanni - Cannitello, va ad appoggiare su un punto di frana naturale. Questo in condizioni normali. Si immagini con un peso di quel genere. Con un piccolo sisma avremmo danni incalcolabili».

Un terremoto da quelle parti non è un fatto così inusuale.

«Tenga conto che quella è una delle tre zone a più alta pericolosità sismica del mondo dopo Giappone e California. Il terremoto di Messina del 1908 è stato uno di quelli con maggiore magnitudo. Quindi è molto probabile che avvengano sismi anche di intensità non elevata ma che metterebbero a rischio la struttura del Ponte».

Secondo lei, dunque, si parte alla cieca. Per realizzare poi cosa?

«Un’opera che non serve a nessuno. Non serve ai calabresi che non hanno strade per raggiungerla, non serve ai messinesi che ne saranno scavalcati ».

Scavalcati?

«Se parto dalla Calabria e sto sul Ponte quando arrivo dall’altra parte, dove finisce l’acqua, Messina me la ritrovo sotto, a 70 metri più in basso. E siccome per guadagnare terra serve una pendenza dello 0,01 per cento, altrimenti i treni deragliano, occorrono decine di chilometri di svincoli per poter arrivare in Sicilia. Quindi parto da Reggio ma arrivo a Milazzo o a Catania».

È stato detto che il Ponte è strategico perché ci avvicina all’Africa..

«Anche questa è una bella bufala. Ammesso che si riuscisse ad attraversarlo visto che ci sono mesi, specie quelli invernali, che dovrebbe star chiuso per i forti venti, una volta sbarcati in Sicilia si arriva a Mazara del Vallo e poi? Poi si resta lì perché c’è il mare».

Secondo lei è anche dannoso, perché? «Nessuno ha idea dell’impatto che questa opera avrebbe. Il territorio, il paesaggio, le culture agricole verrebbero devastati per chilometri e chilometri. Si pensi ai laghi di Ganzirri, distrutti per sempre. Ci saranno delle ricadute tali che nessuno immagina». Forse perché nessuno ha voglia di tirarle fuori.

Lo stesso schema della Tav: i privati lucrano, lo Stato pagaIntervista di Roberto Rossi ad Ivan Cicconi

Il 6 novembre scorso il ministro dei Trasporti Altero Mattioli dichiarò: «Confermo che il Ponte si realizza in gran parte con capitali privati attraverso il project financing. I capitali pubblici servono solo per le opere a terra».Maè davvero così? Il Ponte di Messina sarà finanziato dai privati? La risposta è no. Alla fine sarà solo lo Stato a farsene carico. Fu così anche con il sistema Tav. Si disse che l’opera sarebbe stata garantita dalle grandi imprese. I mille chilometri di Alta Velocità sono finiti, invece, tutti sulle spalle del cittadino. A una cifra salatissima: 32 milioni a chilometro, secondo i parametri delle Ferrovie, 60 milioni secondo le stime di comitati indipendenti. Comunque dalle tre alle cinque volte rispetto al prezzo iniziale.

LO SCHEMA

Per il Ponte non andrà diversamente. Lo schema o la catena contrattuale, come ci spiega Ivan Cicconi, direttore dell’Istituto per la Trasparenza Aggiornamento e Certificazione Appalti (Itaca) sono gli stessi. Come nell’Alta Velocità, l’architrave dell’inganno sta nell’affidamento «da parte dello Stato alla Stretto di Messina Spa della concessione per la costruzione e la gestione dell’opera». Normalmente è attraverso la gestione che si dovrebbe recuperare l’investimento che si fa. Èil rischio che un’impresa corre. Costruisce l’opera e poi ne gestisce i guadagni. Ma non in questo caso. «Il rischio nel caso del Ponte è in capo alla Stretto di Messina spa. Una società di diritto privato ma con soci e capitale tutti pubblici». Come Iritecna, che è posseduta al100%dal ministero dell’Economia, Anas spa, di proprietà del Tesoro, e quote insignificanti della Regione Calabria e della Regione Sicilia. Il costruttore, invece, è un altro. In questo caso è un consorzio di imprese guidato da Impregilo, che assume il ruolo di «general contractor ».Chevuol dire? L’affidamento a contraente generale si differenzia da un normale appalto pubblico per un elemento: «Il contraente generale - spiega Cicconi - èun concessionario. E quindi è quello che fa la progettazione esecutiva e che nomina la direzione dei lavori». In poche parole è quello che esegue i lavori e che li dovrebbe controllare. Che cosa rischia il contraente generale? Dal punto di vista finanziario nulla. «È pagato al 100% dallo Stretto di Messina spa, con la semplice differenza, rispetto a un appalto, che anticipa circa il20%del costo di costruzione». Ma è solo una partita di giro. Alla fine dei lavori il consorzio avràcomunque i suoi soldi indietro. Ne deriva che il contraente generalenon ha nessun interesse oggettivo e soggettivo a fare presto e bene. «Potrà aumentare i costi dell’opera, come è successo con la Tav, come vorrà. Nessuno potrà contestargli rialzi nei prezzi». In qualsiasi caso, sia ci metta cinque anni, come scritto nel contratto, sia venti come è plausibile avvenga, è pagato al 100% da Stretto di Messina spa.

CHI GUADAGNA E CHI PERDE

In sostanza, lo schema consente di avere due piccioni con una fava. Permette alle grandi imprese costruttrici di avere guadagni sicuri ma anche alle banche di fare affari certi. In che modo? Siccome Stretto di Messina è una spa, e quindi è fuori dai conteggi del Parametro di Stabilità europei, può richiedere qualsiasi tipo di finanziamento. Di solito i prestiti e relativi interessi sono coparto attraverso la gestione dell’opera (in questo caso i pedaggi). «Ma è stato calcolato - spiega Cicconi - che per recuperare l’investimento sul Ponte solo con gli introiti di gestione occorrano dai 150 ai 200 anni». Un lasso di tempo un po’ troppo lungo per le banche. Quindi sarà lo Stato a dover sborsare subito i soldi. «È il cosiddetto debito a babbo morto». Proprio come successo con la Tav nel 2006. Quando pagammo alle banche 13 miliardi di euro. In contanti.

Il bluff della prima pietra: costi in più per i contribuenti

Iolanda Bufalini

È stato annunciato in pompa magna e, nei piani originari, sarebbe dovuto andare Berlusconi. Ma,in realtà, cosa succederà il 23 dicembre? Il cantiere che si apre è quello della variante di Cannitello, lo spostamento di un tratto di binari ferroviari dal centro di Villa San Giovanni all’esterno della cittadina. Un investimento pubblico di 26 milioni di euro che non ha a che fare direttamente con il Ponte e che, probabilmente, sarebbe stato più utile investire in opere più urgenti sulla costa calabra (a cominciare dai problemi del dissesto idro-geologico). Tanto più che ad oggi non esiste un progetto esecutivo per la Grande opera dello Stretto e ancora non si sa se effettivamente si potrà fare. Le obiezioni degli esperti sono, infatti, molto importanti e numerose.

Il ponte chiuso dal vento.

A cominciare da quelle formulate da Remo Calzona, che è stato consulente dell’Anas e del governo ma che da convinto sostenitore è diventato fortemente critico. Per l’ingegnere la campata troppo lunga rischia di oscillare al forte vento dello stretto e il ponte di restare chiuso per 200 giorni l’anno.

L’evoluzione dei grattacieli.

Un altro ingegnere che ha sollevato forti critiche alla campata unica è Federico Mazzolari, che insegna alla Università Federico II di Napoli: «Prima di parlare di ponti - sostiene Mazzolari - può essere istruttivo esaminare l’evoluzione dei grattacieli» Dal 1931, anno di costruzione dell’Empire State Building (alto 381 metri) al 1973, anno di inaugurazione delle sfortunate Twin Towers (415 metri) , fino ai 450 metri delle Torri di Kuala Lumpur in Malesia, la crescita dei grattacieli è stata di 127 metri in 73 anni. Un’evoluzione veloce nei primi anni e poi costante ma abbastanza lenta. Passando ai ponti: i primi a superare la lunghezza dei mille metri furono il Washington Bridge di New York e il Golden Gate di San Francisco (1931). Oggi il ponte più lungo è l’Akashi-Kaikyo Bridge in Giappone (1990 metri): ci sono voluti settanta anni perché l’evoluzione delle tecniche ingegneristiche consentissero un aumento di 900 metri della luce di un ponte a campata unica. La domanda è: quali innovazioni tecnologiche consentono oggi di fare un salto di oltre mille metri per raggiungere i 3 chilometri e 300 che distanziano Scilla e Cariddi? Gli esperti non hanno notizia di innovazioni tecnologiche eccezionali che, in ogni caso, dovrebbero essere oggetto di confronto scientifico. Tanto più che il ponte sullo Stretto dovrà consentire anche il passaggio dei treni. Il ponte di Lisbona costruito sul fiume Tago nel 1973 è stato il primo tentativo di utilizzazione mista, ferroviaria e stradale. È lungo poco più di un chilometro e, per i treni, è rimasto chiuso fino al 1998, dopo 25 anni di lavori di adeguamento della struttura.

Ponte sullo Stretto, il grande spot. L'avvio ai lavori. Ma è bluffJolanda Bufalini

Un’unica grande via trans/europea che da Berlino arriva a Palermo, scavando il Brennero e gettando l’avveniristico ponte con tremilatrecento metri di luce sullo Stretto. Sogno ingegneristico ed economico per unire la Sicilia al continente ma, come dice uno spot sul gioco responsabile, «bisogna sognare senza illudersi». Altrimenti il risveglio potrebbe essere brusco e la scommessa foriera di cattive sorprese: «Attenti a non unire due cosche anziché due coste», mette in guardia la rete «No ponte». A scendere dal mondo dei sogni con i piedi per terra dovrebbero aiutarci gli studi preliminari (1986 e 2003) che proiettavano le loro ipotesi al 2012.

«Ma ormai ci siamo» osserva Gaetano Giunta, che è stato presidente della commissione sul Ponte del consiglio comunale di Messina. «Oggi quelle previsioni le possiamo confrontare con ciò che è successo». Le previsioni sulle magnifiche sorti e progressive dell’economia siciliana stimavano 8 milioni di passeggeri sullo Stretto nel 2000, 9 milioni 700mila nel 2012 (un aumento del 20 per cento su base annua nel caso di una crescita economica bassa) oppure 12 milioni 300mila in caso di crescita economica alta (un aumento 52%).

Queste stime si sono rivelate sbagliate per più motivi. Purtroppo la crescita economica non è stata quella prospettata: gli estensori dello Studio di impatto ambientale ipotizzavano che il Pil sarebbe cresciuto del 4,4% nell’ipotesi migliore e dell’1,7%, nell’ipotesi peggiore. «E ci marciavano - sostiene Gaetano Giunta - perché il traffico passeggeri non cresce di pari passo con il Pil». Come sono andate effettivamente le cose? Nel periodo 2001-2007 l’economia siciliana è cresciuta dello 0.9 % e quella calabrese dell’1%, l’anno migliore è stato il 2001 (2,8%), dal 2002 in poi lo sviluppo è stato sempre inferiore a quello del Centro nord.

Merci via mare

Ma, in tutti questi anni, che le cose andassero bene o male, il traffico marittimo delle merci sullo Stretto è sempre diminuito mentre è cresciuto l’export via mare da Palermo, Trapani, Catania, Messina e, ovviamente, da Gioia Tauro. È per mare che le merci arrivano da e per il Nord e, si presume, tanto più si svilupperanno negli anni in cui il gigantesco cantiere metterà sottosopra Scilla e Cariddi. Chi è che fa la spola nei traghetti dello Stretto? Oltre ai pendolari fra Messina e Reggio (poco trans/europei) ci sono i “padroncini”. I possessori di un furgone o camioncino che portano la merce da paese a paese: un traffico residuale che difficilmente giustifica la Grande Opera in Project Financing. Chi mette i soldi dovrebbe poter rientrare attraverso i pedaggi, ma se il traffico non giustifica l’opera, allora molto difficilmente si troveranno forze imprenditorialmente sane disposte a rischiare i 3.300 milioni di euro richiesti.

Tutto questo alimenta due tipi di preoccupazione. La prima: il Ponte potrebbe rivelarsi una grande occasione di riciclaggio per le mafie delle due sponde sinergicamente interessate al controllo del territorio, alla copertura del traffico di droga , alla gestione dei posti di lavoro. E ci sono attività come il movimento terre, gli espropri, il ciclo del cemento e i servizi ai cantieri che sono particolarmente a rischio perché settori tradizionalmente infiltrati da organizzazioni. La seconda: i costi sono ora ripartiti al 40% per lo Stato e al 60% per i privati. Ma se il Ponte fallisse chi si assumerebbe il passivo? Alla fine l’intero costo potrebbe finire a carico del debito pubblico e dei contribuenti.

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