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Abusivismo: ora più che mai
9 Novembre 2009
Abusivismo
Secondo il rapporto CRESME 2009, in Italia è illegale il 9,6% delle abitazioni. Su Il Sole 24 ore e il Corriere della Sera, 9 novembre 2009 un quadro allarmante e l’esempio disastroso di Fregene (m.p.g.)

Cresce l'abusivismo: senza permesso un'abitazione su dieci

Donato Antonucci -Il Sole 24 Ore

Un fenomeno che non conosce crisi. Tra quelli europei, il nostro Paese registra uno dei più alti livelli di abusivismo edilizio. I dati del Cresme per il 2009, che il Sole 24 Ore anticipa nel grafico qui a fianco, stimano un totale di 27mila abitazioni illegali, pari al 9,6% del totale. Ed evidenziano, in prospettiva storica, punte allarmanti in coincidenza dei condoni edilizi. Il tutto mentre il piano casa traccia nuove vie per realizzare legalmente molte delle piccole opere che spesso, in passato, erano attuate in modo abusivo (o regolarizzare abusi già effettuati: un punto sul quale i comuni saranno chiamati a vigilare). D'altra parte, a fronte dell'estrema rigidità formale delle disposizioni di legge, vi è anche la diffusa consapevolezza che un abuso edilizio difficilmente corre il rischio di essere demolito, per una serie di ragioni giuridiche (e pratiche) che i professionisti conoscono bene.

Segnalazioni mancate.

Innanzitutto, raramente si assiste alla denuncia dei vicini, che generalmente tollerano il fenomeno, salvo i casi di dissapori legati a vicende di violazioni che invadono le altrui proprietà. E così, molti abusi semplicemente restano sconosciuti. Del resto, i privati non hanno obbligo di denuncia. Obbligo che invece costituisce uno specifico dovere per i pubblici ufficiali e per gli incaricati di pubblico servizio (polizia municipale, funzionari di uffici tecnici comunali e del catasto). Così come per i notai, cui venga richiesto di rogare atti concernenti immobili abusivi, e per il direttore dei lavori. Nella prassi, però, le risorse per i controlli d'iniziativa dei comuni sono scarse. La conseguenza è che molti abusi vengono scoperti solo quando sono già stati ultimati, con tutti i problemi legati alla demolizione: se il privato non provvede spontaneamente, i comuni devono anticipare le spese e poi cercare di recuperarle. E la carenza di fonti a volte rinvia gli abbattimenti.

Le violazioni.

Quando venga accertata la violazione delle norme di legge e di regolamento in materia urbanistico-edilizia, delle prescrizioni degli strumenti urbanisticio delle modalità esecutive fissate nei titoli abitativi, l'articolo 27 del testo unico dell'edilizia (Dpr n. 380/2001) impone ai funzionari comunali di ordinare l'immediata sospensione dei lavori, che avrà effetto fino all'emanazione dei provvedimenti sanzionatori definitivi, da adottare e notificare ai responsabili entro i successivi 45 giorni. Le sanzioni amministrative e penali sono contenute negli articoli da 30 a 48 del testo unico. Nel caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, l'articolo 31 stabilisce che se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune, che poi provvederà alla demolizione o all'eventuale riutilizzo del bene. Sino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, però, il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario dell'immobile può tentare di ottenere il rilascio di un permesso in sanatoria, a patto che ci siano i requisiti (si veda la scheda). Accanto alla sanatoria che è una procedura a regime negli anni si sono succeduti tre condoni di carattere eccezionale, che hanno reso possibile sanare anche quegli abusi che non fossero conformi agli strumenti urbanistico-edilizi.

La sospensiva.

Il meccanismo si inceppa quando si tratta di applicare le procedure. Le amministrazioni comunali spesso impiegano tempi lunghi nell'istruire le pratiche di accertamento di conformità di condono. E, comunque, il titolare di un abuso edilizio che venisse stanato dal comune avrebbe ancora molte carte da giocare. Infatti, contro i provvedimenti amministrativi di sospensione dei lavori, di irrogazione di sanzioni o di rigetto della richiesta di accertamento di conformità o dell'istanza di condono, si può fare ricorso in sede commissariati di p.s., amministrativa o giurisdizionale (la più praticata). Insieme al ricorso al Tar, o con atto separato, si può chiedere l'emanazione di misure cautelari (la cosiddetta istanza di sospensiva): misure cautelari che vengono quasi sempre concesse dato che la demolizione comporterebbe quel «pregiudizio grave e irreparabile» richiesto dalla legge e che sospendono per anni l'efficacia di un ordine di demolizione. Se poi anche il ricorso alla fine dovesse essere rigettato, c'è sempre la chance dell'appello davanti al Consiglio di Stato, con la possibilità di ottenere - anche qui - la sospensione dell'esecuzione di una pronuncia sfavorevole. In pratica, solo al termine del giudizio d'appello si potrà procedere alla demolizione del manufatto o alla concreta immissione in possesso da parte del comune. Ai tempi lunghi dei comuni si sommano quelli della giustizia amministrativa, ove non è infrequente, ancora oggi, l'esame di ricorsi sul condono del 1994.

Il disastro normalizzato di Fregene

Giuseppe Strappa – Corriere della Sera

Qualche giorno fa gli agenti della Polizia ambientale e forestale, su provvedimento del tribunale di Civitavecchia, hanno posto i sigilli su quaranta abitazioni costruite tra il lungomare di Fregene e viale Viareggio per «lottizzazione abusiva in aree a tutela paesaggistica».

Il balletto dei ricorsi è solo iniziato, tra accertamenti di responsabilità e verifiche di sub deleghe, ma fin d’ora colpiscono due aspetti della vicenda.

Il primo è l’esiguità dei provvedimenti rispetto alla vastità delle distruzioni in atto, perché l’intera località sembra colta, da tempo, da un’inarrestabile attività costruttiva.

Certo, quegli ultimi resti di un paesaggio selvatico calpestati dalle volgari villette sequestrate, colpiscono l’occhio ed il cuore. Ma anche le più composte costruzioni che spuntano come funghi nelle aree verdi finiscono per dare un poderoso contributo alla rovina del paesaggio. E qualora fosse provato che tutte hanno rispettato le procedure, i piani, le norme, la contraddizione emergerebbe in tutta la sua allarmante evidenza: l’obbiettiva, progressiva, inaccettabile distruzione di uno straordinario patrimonio naturale sarebbe stata compiuta nel pieno rispetto delle leggi.

Il secondo aspetto che preoccupa di questa vicenda è l'assenza di proteste, la «normalizzazione» del disastro.

L’assalto alle coste ha, da noi, una tradizione antica. Ma decenni di battaglie civili hanno dimostrato, almeno, come fosse chiaro il confine tra profitto privato e diritti dei cittadini. Da allora qualche cosa sembra cambiato nel profondo delle coscienze.

Anni di condoni e di incertezza del diritto hanno minato quelle verità. Lo stesso termine «speculazione edilizia» è divenuto un relitto linguistico. Perché, del resto, non posso costruire una villetta in un'area protetta? Quando lo Stato finirà per darmi ragione o, almeno, per perdonarmi con una strizzatina d’occhio?

C’è voluto un esposto di Italia Nostra e quasi due anni d’indagini del pubblico ministero Pantaleo Polifemo per fermare, per ora, lo scempio. Ma, nel sonno delle coscienze, vedremo come andrà a finire.

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