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“Salvare ciò che ancora resiste è più complicato che salvarsi l’anima”
27 Marzo 2009
Lettere e Interventi
Giancarlo Consonni

Caro Eddy, salvare il mondo e difendere quel poco di urbanità che ancora resiste è faccenda assai più complicata che salvarsi l'anima. Il primo impegno richiede quel che tu dici: «fatica, pazienza, speranza»; per salvarsi l'anima basta il pensiero lineare dei fondamentalismi e dei narcisismi (che spesso vanno a braccetto).

Di «fatica, pazienza e speranza» è fatto il lavoro che non pochi di noi fanno con gli studenti. Ma, se vuoi bruciare quel residuo di credibilità che ti rimane, non hai che da usare la tua "posizione" come un mitra puntato. La rivoluzione, come sai, è invece indurre a ragionare e a sentirsi responsabili. Delle sparate dalle torri d'avorio, dentro l’università e fuori di essa, non frega niente a nessuno. Sono, anzi, quanto mai nocive (oltre a offrire ulteriori motivazioni a chi lavora senza tregua per distruggere la scuola pubblica).

Allo stesso tempo, sul fronte accademico la sopravvivenza dell’università viene ormai fatta dipendere dalle commesse contoterzi. Nel campo dell’urbanistica il volume delle commesse ha raggiunto in talune strutture livelli un tempo impensabili, ma quanto di questo lavoro costituisce un avanzamento nella ricerca e quanto è invece lavoro professionale camuffato? Quanto risponde a uno spirito di responsabilità civile e quanto è mero lubrificante offerto agli amministratori pubblici per far girare le cose come vogliono loro? Su questo andrebbero tratti bilanci, ma le domande di cui sopra non sono all’ordine del giorno degli organi di governo dell’università.

Come la mettiamo allora con l’impegno civile del lavoro universitario? Questo si gioca sui progetti formativi e sugli strumenti conoscitivi e operativi che si mettono a disposizione delle giovani generazioni per interpretare la realtà e tentare di modificarla, avendo presenti le grandi questioni strategiche (su cui il più delle volte la politica si dimostra assente). E quanto all’impegno politico, è già tanto che l’università trovi i modi per difendere il suo patrimonio e il suo potenziale da un attacco che non ha l’uguale da quando è stata istituita.

C’è poi il problema dell'accesso ai mezzi di comunicazione. Internet ha in parte scombinato il monopolio – Eddyburg è lì a dimostrarlo –, ma per arrivare alle masse ci vuole ben altro. È incredibile l’anestesia prodotta dal berlusconismo. Posso citare alcune mie esperienze. Più di un articolo che ho inviato alle redazioni milanesi di «Repubblica» e del «Corriere della Sera» è stato cestinato, o trasformato in lettera. Lo stesso è accaduto con "AL", la rivista degli ordini degli architetti lombardi: il pezzo richiestomi sul progetto di Koolhaas per Milano-Bovisa (poi integralmente pubblicato su Eddyburg) è uscito ridotto in forma di lettera. Il che non ha impedito che quella mezza paginetta mandasse su tutte le furie l’operatore immobiliare e irritasse i vertici accademici. Eppure esprimevo giudizi difficilmente contestabili sulla povertà mista ad arroganza del “progetto” di un’archistar del tutto inadeguata al compito affidatale.

Alla vigilia di un incontro pubblico dell'assessore Masseroli alla Facoltà di Architettura Civile di Milano Bovisa è uscita finalmente una intervista su "Repubblica" (puntualmente ripresa da Eddyburg) in cui, fra l’altro, esprimevo perplessità sull’idea di riportare a Milano 700 mila abitanti. Una tale prospettiva non rientra nel novero dei fatti opinabili. Un’amministrazione che si proponga di riportare quote significative di popolazione in città non può non fare i conti coi processi selettivi che ha visto la rendita immobiliare dare vita a un esodo di oltre mezzo milione di abitanti negli ultimi trent’anni. Se non si dice come il controesodo può avvenire, si fa solo un uso strumentale di una grande questione al solo scopo di alimentare la deregulation. La strumentalità della proposta è dimostrata dal fatto che le stesse forze politiche che governano Milano – e, ahimè, non solo loro – promuovono allo stesso tempo espansioni forsennate dell’edificato ovunque: nella cosiddetta città diffusa e ora persino nel Parco Sud (per tacere del piano casa di Berlusconi). Riportare anche solo un decimo dei 700 mila abitanti di cui parla Masseroli comporta una politica della casa e insieme politiche di governo della tendenza insediativa nel contesto metropolitano che non si possono certo affidare al mercato. Ma di questo non si può parlare; e anche le pagine dei maggiori quotidiani nell’inseguire scoop e annunci, se ne guardano bene di riportare a una coerenza d’assieme quello che di giorno in giorno occupa l’agenda. Alla fine i giornali si riducono a una raccolta indifferenziata di notizie con cui si fa quotidiana opera di diseducazione civile.

La situazione a Milano e in Lombardia è pesante. Forza Italia, CL e Lega formano un insaziabile cerbero a tre teste, superiore come capacità devastante al brontosauro democristiano che pensavamo insuperabile. Ma non è vero che il panorama milanese è una palude: non ci sono solo atteggiamenti conniventi. Numerosi sono i punti dove si cerca di contrastare l’onda di incultura e irresponsabilità che avanza.

Segnali di controtendenza vengono anche dalla rivista on-line diretta da Luca Beltrami Gadola ( www.arcipelagomilano.org), per non dire dell’attività dei molti comitati di cittadini. E ancora non si può dimenticare quello che sta facendo la Fondazione Corrente sull'Expo'.

Un caro saluto

Che l'enorme serbatoio di saperi che è l'università si sia sterilizzato è una delle componenti della tragedia italiana. Sono sempre più convinto che invertire il trend del degrado morale e civile sia possibile solo secondo due vie: o un evento inaspettato e catastrofico (una nuova ondata di Unni o Visigoti, Vandali o Marcomanni, o una guerra devastatrice), oppure un lavoro di lunga lena: un lavoro, appunto, nel quale fatica e pazienza si accompagnino alla speranza. Su questa seconda strada è essenziale che chi sa insegni, chi ha risorse (di memoria, di capaccità di analisi, di progettazione delle tante facce del mondo) lo impieghi al servizio di quelli che non sanno, o non ricordano, o non hanno conosciuto.

Come tu dici, per farlo - ove ve ne sia la volontà e la disponibilità - è poi necessario rompere il muro dell'informazione ufficiale: dell'informazione di regime, di quella che Stefano Rodotà stigmatizzava nel suo articolo di oggi ricordando Orwell: "Parole manipolate per soddisfare le 'necessità ideologiche' del regime, per 'rendere impossibili altre forme di pensiero'".

Ecco, credo che sforzandoci di opporre informazioni profonde a quelle galleggianti del potere dobbiamo "rendere possibili altre forme di pensiero". Nell'assoluta modestia dei nostri mezzi, con eddyburg ci sforziamo di contribuire al lavoro comune in questa direzione.

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