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Lodo Meneghetti
Come un appello. Domande di un antieconomista di sinistra morale
21 Novembre 2008
Scritti ricevuti
Un intervento sui possibili esiti della crisi del capitalismo, versione neoliberale. Scritto per eddyburg, 21 novembre 2008

Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito è un pazzo oppure un economista, Kenneth Boulding, 1966

Cosa fa la gente dinnanzi alla crisi? Non compra! esclama preoccupato anche Epifani; un dramma, secondo lui (attualmente il miglior dirigente di una sinistra moderata in declino dopo l’autodistruzione della sinistra detta radicale). Proprio così. Bisogna comprare le cose inutili, poiché, penso, quelle necessarie e irrinunciabili per la normale e buona vita si acquistano comunque salvo sottoporle a una maggior attenzione riguardo al rapporto qualità prezzo. Il solito schema: comprare comprare comprare affinché la produzione corra. Schema vecchio come il cucco. Formula elementare e approssimativa che, mentre il whirl capitalism col turbo a pezzi è ricusato dagli stessi esaltati preti della globalizzazione, viene rilanciata dalla sinistra accodata ai marpioni della speculazione finanziaria e industriale. Che mancanza di idee, di fantasia, di risorse intellettuali e morali. Anche morali, certo. Perché allinearsi ai liberisti pentiti? Ai cultori dello scambio ineguale? Ai maestri di altrui rovina? Non dovrebbe, questa crisi, essere colta come occasione per ricominciare da capo, per pensare a un modello di società diverso dall’attuale modello capitalistico socialmente insostenibile? Anzi, economicamente insostenibile, si è visto, se persino colossali aziende mondiali perdono il 90 per cento del proprio capitale, e gli ex ultra liberisti debbono rimpolparle coi soldi della “gente” per salvarne altra. Non dovrebbe la sinistra smetterla di sottostare senza dubbi alla duale il-logica del consumare di più per produrre di più? E non dovrebbe denunciare la menzogna che l’aumento progressivo del Pil genera automaticamente più ricchezza per tutti quando è dimostrato il contrario, più reddito e ricchezza per pochi e maggior grandezza del divario con chi ne possiede poco o nulla dell’uno e dell’altra? Berlinguer, dimenticato dai dirigenti attuali, fu eccezionale chiaroveggente a perorare austerità nei consumi, vigilanza verso lo spreco. Non dovrebbe la sinistra ripartire dal suo pensiero berlingueriano e proporlo accanto a elaborazioni vecchie e nuove contestatrici del concetto e del fatto della crescita confusa con lo sviluppo? Carla Ravaioli, straordinaria irriducibile critica dello sviluppismo, ce lo ha ripetuto col suo ultimo libro (Ambiente e pace una sola rivoluzione): crescita concerne le merci e il reddito, sviluppo deve riferirsi a tutti i fattori di umanizzazione delle risorse. Perché la sinistra non “studia”, perché non vede che esistono pensieri sull’economia e la società diversi da quello dominante ma scosso e perdente? Perché non si misura con il principio di Serge Latouche relativo alla decrescita o acrescita (“decrescita serena” “decrescita conviviale”)? Perché non farlo con le istanze critiche del sistema capitalistico di un Kenneth Boulding, di un Walden Bello, di un Jared Diamond e tanti altri studiosi? Perché non liberarsi dalla sudditanza al liberismo, al pensiero convenzionale “occidentale” e propugnare idee e progetti per una diversa economia punto di partenza per cambiare il mondo?

Perché non cogliere l’occasione?

Sull’argomento vedi anche gli articoli di Giorgio Ruffolo, Loretta Napoleoni, Burgio e Giacchè, Barbara Spinelli , Rossana Rossanda e Zygmunt Bauman, nonché i numerosi scritti di Carla Ravaioli e Piero Bevilacqua (usando il “cerca”)

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