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Vezio De Lucia
L’inganno federalista
27 Novembre 2008
Vezio De Lucia
Non so se Alberto Asor Rosa e Piero Bevilacqua

, autori dei due articoli gemelli,su questo sito il 3 ottobre scorso, abbiano letto il libro di Antonio Iannello, L’inganno federalista (Vivarium, Napoli, 1998), con prefazione di Giovanni Russo, pubblicato poco prima della scomparsa dell’autore. Il messaggio è lo stesso, uguale la denuncia, cioè la perdita della coscienza e dell’appartenenza nazionali, l’opportunismo delle forze politiche di fronte al federalismo fasullo. Secondo Asor Rosa, la disarticolazione e frammentazione dell’unità politica, economica, identitaria e istituzionale dell’Italia perseguita dalla Lega è, evidentemente, un processo, che però "diffonde una cultura politica e un senso comune avversi a tutte le definizioni topiche dell’essere «italiano». Il berlusconismo ingloba questa fenomenologia e la fa propria; se non altro perché al presidente del consiglio unità o non unità nazionali sono del tutto indifferenti, purché la macchina del potere resti tutta in ogni caso nelle sue mani". Per Piero Bevilacqua, il lavoro orchestrato dalle Tv Mediaset ha fatto leva sulla parte "più arcaica e anarcoide" dello spirito nazionale. E ricorda quel «particulare» che già Francesco Guicciardini aveva individuato come un tarlo nella coscienza civile degli italiani. Questa ideologia dissolvitrice ha trasformato "i cittadini in produttori e consumatori, ciascuno libero in casa propria (ma anche fuori di essa), individui solitari privati di un’idea di nazione come comunità solidale, monadi isolate, ispirate esclusivamente dalla ricerca dei propri privati interessi".

I medesimi ragionamenti, dieci anni fa, e perciò con una sorprendente lucidità e una capacità di analisi politica che pochi gli accreditavano, li formulò Antonio Iannello. Fin da quando si era delineato il movimento della Lega, Iannello era stato fra i primi, per quanto posso ricordare il primo in assoluto, a comprenderne e a denunciarne la pericolosità. I lettori di questo sito sanno chi era Antonio Iannello (Napoli, 1930-1998), architetto, dirigente del partito repubblicano e a lungo impegnato in Italia nostra, di cui fu segretario generale dal 1985 al 1990. "Un po’ guerrigliero, un po’ certosino, ogni sua battaglia è stata animata da un rigoroso senso etico a favore dell’interesse pubblico. Contro una lottizzazione abusiva o un piano regolatore che piaceva troppo agli speculatori alternava irruenza, sottigliezza giuridica e gusto della beffa": così lo ritrae Francesco Erbani nel libro Uno strano italiano. Antonio Iannello e lo scempio dell’ambiente (Laterza, 2002). E Giovanni Russo scrive nella prefazione che "battersi contro le tesi della lega, così come ha fatto contro le deturpazioni urbane e del paesaggio, diventa per lui naturale".

L’inganno federalista raccoglie gli interventi all’assemblea costituente degli oppositori all’ordinamento regionale: Francesco Saverio Nitti, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Benedetto Croce, Concetto Marchesi, Aldo Moro, Tristano Codignola, Emilio Lussu e tanti altri. Nell’ampio saggio introduttivo, Iannello riporta all’attualità il pensiero dei padri costituenti antiregionalisti, svela l’inconsistenza e i mascheramenti dei riti celtici, denunzia l’imperdonabile errore di quasi tutte le forze politiche che per compiacere la Lega si mettono in fila per partecipare allo sconquasso dell’ordinamento statale. Coglie le analogie fra il separatismo siciliano del primo dopoguerra ("una sparuta minoranza rozza, faziosa, violenta ed eversiva") e quello leghista, ma anche una fondamentale differenza "che rende ancor più incomprensibile e inaccettabile il cedimento di fronte alle proposte leghiste. Le spinte autonomiste siciliane provenivano da una realtà socialmente depressa, nella quale vigevano ancora inalterati i rapporti feudali e lo sfruttamento dei contadini. Oggi le spinte indipendentiste provengono da una delle zone più ricche del Paese e, incredibilmente, stampa e forze politiche parlano di un «malessere del nord» che non esiste, se non i termini culturali e spirituali, ma non certamente economici".

Ma la parte, secondo me, più importante del saggio introduttivo è quella in cui Iannello tratta del fallimento delle regioni, e giustamente si chiede perché si affronta la questione del federalismo senza aver sentito la necessità di fare prima un bilancio dell’azione regionale. Contesta gli argomenti di chi sostiene che i risultati deludenti dovrebbero addebitarsi al ritardo con il quale furono istituite le regioni ordinarie, chiamando in causa l’esperienza ancor più sconfortante delle regioni a statuto speciale, come la Sicilia, istituita ancora prima dell’entrata in vigore della costituzione repubblicana. Esamina in particolare i temi a lui più consueti, l’assenza della pianificazione territoriale, la "delittuosa improvvisazione" in materia di protezione del paesaggio, la mancata repressione degli abusi edilizi. E così di seguito.

Sono passati dieci anni e un bilancio rigoroso, obiettivo e approfondito dell’attività regionale, come atto propedeutico alla discussione sul federalismo, ancora non è stato fatto. Dovrebbe essere compito prioritario dell’opposizione, che invece è impegnata soprattutto nel confermare la propria acritica adesione al federalismo.

Concludo riprendendo ancora Asor Rosa: "ci vorrebbe un partito, un movimento, un'opzione al tempo stesso politica e culturale, capaci di coniugare la difesa della patria-nazione con quella degli strati più nuovi, più reattivi e più a rischio della società italiana contemporanea (…). Ma dov'è?".

Postilla: Antonio Iannello non poteva immaginare che si sarebbe arrivati al trasferimento dei poteri di tutela al comune di Roma, con tanto di benservito a quei coraggiosi soprintendenti statali che anche in tempi recentissimi hanno contrastato scempi e devastazioni. Il nuovo assessore comunale all’urbanistica ha dichiarato che bisogna accantonare l’ideologia della sacralità dell’agro romano. Ha detto proprio così. Uno spaventoso futuro incombe sulla capitale.

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