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Giuseppe Campione
Dio e l’uomo Scalfari
23 Settembre 2008
Scritti su cui riflettere
Una recensione al'ultimo libro del fondatore di Repubblica è anche una analisi degli ultimi cinquant'anni di storia italiana. Scritto per eddyburg, settembre 2008.

Farinelli lo dice nel modo più sintetico possibile: se il mondo non è più una sfera o un paesaggio, non cè più tempo o distanza. Non sfera perchè funzionalmente discontinuo, disomogeneo, non più universo ma pluriverso: il villaggio complessivo, appunto. Niente distanza per via delle comunicazioni, della tecnologia elettronica, ricostruite sulle rovine della civiltà alfabetica. Dalla presenza dei tamburi tribali, alla geografia dei flussi, al tempo veramente reale se è di questa geografia, ad un minore, continuo attrito della distanza, se usciamo dal virtuale.

Un attrito che comunque lo determini non farebbe più paura nemmeno ad Icaro. E allora la geografia fisica che è in Kant diventa sistema.

Il tempo, potrebbe dire allora Borges, non è più un fiume che ci trascina, es la sustancia de que estoy hecho: la sostanza di cui sono fatto.

Già, siamo un sistema compiuto, un globale, che il tempo lo sostanzia.

E parlando di Scalfari, interprete e comunicatore, filosofo e intellettuale non possiamo che cominciare così. Un guardacaccia che diventa giardiniere, secondo una lettura di Bauman. Perchè lintellettuale non è mai indifferente agli stimoli della sua interiorità, non si accontenta che il mondo esista e che le cose accadano, vuole, cerca spiegazioni, ricerca certezze, in una pratica di sacerdozio laico, che coglie insicurezze e riproduzioni abitudinarie dellesistere e nel dipanarle capisce se stesso e le cose, con uno status, il suo, che lo integra separandolo. Lintellettuale che per questo diviene quasi autoconsapevolmente a collocarsi fuori dai ranghi chiusi, quasi ancora come entità a sè stante, che come orizzonte ha il fuori sè, il resto del mondo. E questo intellettuale va incontro al fuori da sè perchè filosofo, che dalla sua république des lettres porta sullenorme schermo della società, convinzioni condivisibili, stadi successivi di virtù, ipotesi e strumenti per questo trapianto di virtù, e perchè no, una volta, forse ogni tanto comportamenti e maniere cortesicAggiungiamo con De Tocqueville, la direzione delle intelligenze. Anche il gusto, le emozioni, le opacità: il tutto dello stato-nazione o stato-nazioni, nelle variegate sfaccettature: far fiorire i giardini e gli orti, spegnendo se del caso i boschi che bruciano, recingendone spazi e costruendo sicurezze virtuose, e poi prospettando modi di vita plausibili e compatibili. Ancora Bauman: guardia caccia e giardiniere. E il bello è che per questo, diciamo, ministero sacerdotale non servono crismi o unzioni, riti o trascendenze, misteri da inventare, nascondere, manipolare e ingigantire, per poi svelarli, ottenendone consensi di dipendenza religiosa, pressochè illimitata.

Asor Rosa ha parlato di fisiologia di un mestiere difficile: la notizia è merce spesso ben confezionata, troppo, forse, non del tutto fruibile dalle masse. E spesso incalza la desuetudine a descrivere fatti, ipotesi, idee, con semplicità: alcuni ci riescono. E con doviziosi argomenti Asor Rosa enumera anche i più giovani di allora (siamo agli inizi degli anni 80), da Cederna a Forcella , a Giovannino Russo, a Scalfari, subito dopo la generazione dei Cattani, Brancati, Monelli, Rossi, Flajano, e dopo ancora quella di Croce, Salvemini, Einaudi : generazioni che tutte assieme ad editori come Benetti, Olivetti, Caracciolo hanno fatto il paese della storia e dei vissuti. Leggendo Bateson possiamo cogliere questi flussi comunicativi molteplici, nella loro, diciamo non staticità, e ritrovarli poi in codici alla fine inventariabili come unificati. In una sorta di interdipendenza di livelli culturali comuni.

Per questo il giornale di Scalfari assumerà limpossibilità di fare in Italia un organo per le grandi masse come stimolo a creare uninformazione rivolta essenzialmente in crescita.

Per questo il ministero di Scalfari emerge svettante in un tutto laico, che è quello della politica quale dovrebbe essere. Quella politica che, dice il geografo Gunnar Olson, serve, dovrebbe servire, a rendere visibile linvisibile. La politica come anello tra antropologie e storie e culture che si immagazzinano negli scaffali del vissuto. Senza magie, dopo limbrunire soltanto la notte. E la luce, le ore, la sera, il buio, sono la stessa cosa, appartengono allo stesso ordine. Quando Heghel, nella borsa degli attrezzi della sua fenomenologia, ci racconta che seme, albero, fiore, frutto solo apparentemente si distinguono dialetticizzandosi, ma si ontologizzano in un insieme, fa in sostanza lo stesso discorso.

Chi negli anni ha seguito Scalfari, nei suoi percorsi, dai suoi romanzi di formazione, allintuizione dellespresso-elefante, alla prima battaglia laica della nascente repubblica su Roma: capitalecorrottanazioneinfetta, unItalia che sembrava gratificarsi del suo essere a sovranità limitata per il perdonismo leninista di Togliatti e per quella che poi sarebbe diventata la confusione concordataria; quando sosterrà le guerre di rossi ai padroni del vapore, quando immaginerà spazi possibili per una sinistra liberale, non opererà dal tetto di un sapere aristocratico, ma sarà sostanza di una coscienza civile, che dal suo impegno trarrà linfa, insufficiente solo per le paure reali della guerra fredda, con i danni per una democrazia in fieri che ci raccontava Pietro Scoppola, democrazia che avrebbe invece avuto bisogno di unetica luterana; dalla convinzione che il Fanfani del congresso di Napoli, avrebbe ridotto i poteri di un ceto di notabili, corrotti e corruttori, per un moderno partito quadri-massa, come nellaccezione di Duverger, salvo poi ad accorgersi che i giovani turchi, e non solo nella Sicilia Occidentale, avrebbero monopolizzato la trasformazioni mafiose (a Palermo e nel Val di Mazzara), e avrebbero ingigantito, industrie, finanze e corruzione di stato. Si pensi alliniziale rispetto per lintellettuale De Mita e la successiva terribile reprimenda per scelte di potere bancario non commendevole. E comunque Scalfari sarà presente con Moro, che autocostruisce la sua condanna a morte con lapertura ai comunisti e per primo con lui decifra, con estrema lucidità, larcano della terza fase. E ancora quando penserà che in qualche modo sarà utile e generoso "sporcarsi le mani per una candidatura socialista par porre argine allincontenibile potere d.c. E proprio a partire dalla Calabria, dove si erano sempre spente le illusioni rivoluzionarie sperimentate ab antiquo. E siamo a Repubblica, secondo quotidiano italiano, dalla metà degli anni 70, e poi a Repubblica on line e alla vorticosa presenza nellattualità culturale multimediale e regionale.

Il Libro, lultimo di un tenace interrogarsi, (Luomo che non credeva in Dio, Einaudi, Torino, 2008) vive e ricorda una vita. Un romanzo-diario, che non butta nulla, dove tutto si tiene. Le stagioni che si susseguono, i dolci anni 70, la giovinezza e il mondo plasmato dai fatti, il tempo che ci è stato dato da vivere, avrebbe detto Moro, i natali e Calvino, la Calabria dello zibibbo, Cartesio e Pascal: Dio, allinterno di una presenza dellindividuo in un mondo in cui tutto è dubitabile, tranne levidenza. Siamo ad un romanzo di figure, che si sovrappongono, che riappaiono con ruoli, dualità, e che si fanno immagine e metafora, in un immutabile senza aporie di continuità. Ed è perduta la possibilitè di trovare rifugio in Dio? Un Dio che soffre e che muore e che non è onnipotente, più che altro "in silenzio" . Allora cosa? Unindolore riconciliazione con perchè che non trovano risposta?

Per testualizzazioni che, dice Ricoeur, come se postulassero relazioni, appunto, tra il testo e il mondo. La testualizzazione genera senso, prima isolando un fatto o un evento e poi lo contestualizza nella realtà che lo ingloba. Ecco, ascoltare la crescita del grano, avrebbe potuto dire Lévi-Strauss. In ogni caso la capacità di produrre senso dipenderà dalla coerenza creativa e dalle ri-percorrenze consentite alla ri-creazione del lettore: l'immagine che è dopo l'oggetto. Una proiezione mentale che trasfigura, ri-crea in quella comunicazione iconica di cui parla il tuo Proietti, nella grammatica delle immagini. Allora scrittura, ma anche critica sovversiva: un viaggio, un modo di capire e di muoversi in un mondo eterogeneo, solo cartograficamente unificato: non insieme di flussi e di relazioni che connotano spazi aperti, ma con funzioni che si risolvono in struttura dinsieme. Dice Clifford: "Non è più possibile lasciare il proprio tetto fiduciosi di trovare qualcosa di radicalmente nuovo, un tempo e uno spazio altri. La differenza la si incontra nella più contigua prossimità, il familiare affiora agli estremi della terra". E il nuovo dis-orientamento, con nuove strutture interpretative, paesaggi, linguaggi. E non mi soffermo se non per cenni, su passaggi, appena detti, ma sempre originali e creativi: luscita dei comunisti dal ghetto, il tema La Malfa, come ispirazione coinvolgente, Berlinguer il crollo della I repubblica con la fine del Caf, l'esilio di Craxi, l'ibernazione di Andreotti, la fuga dei topi da imbarcazioni tenute insieme da ossimori, avari di idee e ricchi di logorroiche ipocrisie, il neo-lenismo, anche questa volta infantile e massimalista di Occhetto, linutile e troppo esibita malinconia di Martinazzoli. Infine lo sdoganamento fascista, il secessionismo leghista e lo scoppio dei mortaretti del populismo berlusconiano, tra tanti, troppi soldi, ma sprattutto nani, ballerine, veline, canzonette e talk show. Ma allItalia, a cavallo del millennio, è piaciuto così: meglio l'effimero che saprofitismi ambigui. Lo scarto tra ideali e costituzione materiale è stato alla fine poco sopportabile.

Eil passato che scrive la memoria, dice Scalfari, la vecchiaia invece è un lusso: je suis comme je suis.

E Dio Scalfari non lo aspetta sul prato della Favorita, in una sfilata degna della fantasia di Fellini, di innocenti prelati che rispondono, bel belli, vestendo magnificamente Prada, così, al grido di dolore e di rabbia di Agrigento del vecchio papa polacco, nè partecipando alla rutilante piedigrotta dellapertura della porta dellanno santo. La moralità non è un prodotto della razionalità, nè ci arriva dal cielo, e non cè bisogno di raccontarla a Dio, dice ancora Scalfari.

Le geo-grafie, quelle del senso comune, comunque si sono aperte sempre di più allascolto dei luoghi e alla ricerca di significanti non banali. Proprio perchè la complessità si è rivelata irriducibile.

Alla domanda chi è Dio, nel secondo capitolo dell'Ulisse, Stephen risponde: "un urlo sulla strada" ("a shout in the street"). E aveva appena detto che la storia, come manifestazione di un ordine ultimo, è "a nightmare from which I am trying to awake" ("un incubo da cui cerco di destarmi") .

Vale allora il principio della scrittura come recupero del dimenticato? In un altro spazio, quello della memoria leggera? Tanto, comunque, lo spirito soffia se, quando e dove vuole.

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