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Luciano Gallino
Il comma 22 del dipendente
28 Luglio 2008
Articoli del 2008
Il secondo principio della politica di Berlusconi: oltre alla privatizzazione dei beni comuni, il disprezzo per i diritti del lavoro. La Repubblica, 28 luglio 2008

Quando un governo è intimamente orientato da idee di destra, quale che sia la sua auto-etichettatura politica, in tema di politiche rivolte a peggiorare le condizioni di lavoro ci si può aspettare veramente di tutto.

In Francia sono state appena eliminate di fatto le 35 ore introdotte dieci anni fa dal governo socialista di Jospin come orario normale ed effettivo del lavoro settimanale. I governi Blair e Brown hanno fatto di tutto – riuscendoci, alla fine, pochi mesi fa – per far approvare dai ministri degli Affari sociali europei una norma che permette alle imprese di costringere i lavoratori a seguire orari compresi tra le 60 e le 78 ore la settimana. L’ultima trovata del governo Berlusconi batte però ogni precedente, quanto a disprezzo per le persone che si guadagnano da vivere alle dipendenze di un’impresa e adozione esplicita di misure che tolgono ad esse ogni possibilità di difesa, mentre introducono tra i lavoratori stessi forme clamorose di ingiustizia sociale.

Il nocciolo della trovata è noto. Finora un lavoratore titolare di un contratto a termine, come dipendente effettivo o come finto autonomo (è il caso dei lavoratori a progetto), il quale riteneva che il contratto medesimo fosse viziato da qualche irregolarità poteva far ricorso al giudice del lavoro. Se quest’ultimo stabiliva che il contratto era effettivamente irregolare, una condizione che sicuramente sussiste, tra gli altri, proprio per decine di migliaia di lavoratori a progetto, poteva imporre all’impresa di trasformare il rapporto di lavoro precario in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Ora non più. Il governo intende togliere al giudice simile facoltà. Salvo ripensamenti dell’ultima ora, un emendamento della finanziaria stabilisce infatti che l’impresa colta in fallo è tenuta al massimo a versare al soggetto alcune mensilità di stipendio, a titolo di indennizzo. Né ha l’obbligo di rinnovare almeno il contratto a termine. Le conseguenze a carico dei lavoratori interessati sarebbero esilaranti come il famoso Comma 22 (se vuoi essere esonerato dalle missioni pericolose devi essere dichiarato pazzo, ma nessuno può essere dichiarato tale se chiede l’esonero) se non fossero drammatiche.

Anziché passare da una condizione di precarietà lavorativa ed esistenziale alla modesta sicurezza che offre oggi un contratto a tempo indeterminato, la persona che protesta per le irregolarità che subisce rischia di perdere pure il contratto a termine.

Da parte loro le imprese non tarderanno ad approfittare della nuova normativa. Dinanzi alla prospettiva di perdere anche il posto da precario, pochi lavoratori oseranno rivolgersi al giudice, reso ormai impotente dal nuovo dispositivo. Territori sterminati si aprono quindi per la moltiplicazione dei contratti a termine, quasi non bastassero quelli che già impoveriscono la vita di alcuni milioni di persone. Intanto si inasprirà il conflitto tra chi ha un lavoro stabile, e teme sopra ogni altra cosa di finire catapultato nella massa di coloro che per decenni un lavoro stabile non sanno nemmeno che cosa sia.

Si dice che la trovata di togliere potere ai giudici del lavoro, annerendo al tempo stesso le prospettive di lavoro e di vita di tanti precari, sia motivata dal fatto che migliaia di lavoratori delle Poste che hanno un contratto a termine hanno fatto causa all’azienda. Se il motivo fosse davvero questo, la trovata in parola non solo apparirebbe ancora più meschina di quanto già non sia. Sarebbe anche rivelatrice di che cosa debbono attendersi i lavoratori italiani per quanto riguarda le intenzioni già annunciate dal governo di procedere a ulteriori riforme del mercato del lavoro. Si parte da situazioni specifiche, che magari fanno problema ma richiederebbero soluzioni altrettanto specifiche, per ridurre all’impotenza e al silenzio la massa dei lavoratori dipendenti.

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