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La sinistra europea dopo le macerie
21 Maggio 2004
Articoli del 2002

HA SCRITTO ieri Ilvo Diamanti a chiusura del suo articolo sui fatti francesi: "L'anomalia italiana non c'è più". Rimane naturalmente il triste primato - ancora e credo per sempre esclusivamente nostro - di un capo di governo che è al tempo stesso il monopolista dell'intero sistema di comunicazione televisivo; su questo punto non ci batte e non ci batterà nessuno. Ma per il resto, populismo, demagogia, tentazioni nazionalistiche o comunque euroscettiche, attacco ai corpi intermedi per annullarne o indebolirne l'autonomia, liberismo e dirigismo pasticciati insieme, non siamo più soli in Europa, anzi siamo in numerosa anche se molto scadente compagnia.

Restano ancora in piedi Schroeder e Blair, ma il primo è quanto mai pericolante, il secondo, lui sì, è anomalo e lo è sempre stato sia quando il pendolo oscillava verso sinistra sia ora che si è vigorosamente collocato a destra. Anomalo Blair perché anomala è ed è sempre stata l'isola inglese di fronte al continente europeo per un vasto ventaglio di cause a tutti note e che qui comunque sono fuori dal nostro tema. Il tema, tanto per delimitarlo con esattezza, riguarda l'effetto dei fatti francesi sull'Europa (e sull'Italia) e sulla sinistra europea (e italiana). Ce n'è d'avanzo.

In Francia è andato a fondo il Partito socialista dopo cinque anni di coabitazione forzata con un Capo dello Stato leader della destra ex gollista ma rigorosamente contro la destra xenofoba di Le Pen. Avevano governato bene i socialisti francesi ma questa circostanza, apparentemente fondamentale, non li ha salvati dal naufragio. Le cause, come concordemente rilevato da tutti gli osservatori francesi e stranieri, sono state due. La prima non riguarda soltanto i socialisti ma anche la destra chiracchiana, cioè l'intero establishment politico; riguarda la politica in quanto tale e si definisce con una sola parola: disaffezione.

La gente, avendo perso ormai da tempo il senso dell'appartenenza, ha preso in odio la politica e i politici. Essi a loro volta sono diventati da tempo autoreferenti e castali. Questi due mondi non si incontrano più.

Il risultato quantitativo emerge da due percentuali che dicono tutto: le forze di Chirac e di Jospin sommate insieme rappresentano il 36 per cento dei voti espressi e il 25 per cento degli aventi diritto al voto. Questa è la disaffezione. Si vota per chi si propone come non politico anzi antipolitico, vecchio o giovane che sia. Essendo caduto il sentimento di appartenenza, ciascuno pensa al proprio interesse, la percezione del bene comune è scomparsa dalle categorie mentali.

Quindi si preferisce l'antipolitico che interpreta la pancia della gente e i suoi supposti interessi primordiali. In questa situazione non c'è più posto per il socialismo. Quanto al neogollismo di Chirac, vincerà perché Le Pen è impresentabile e la "gauche" sarà costretta a votare per il suo avversario storico. Ma intanto il leader xenofobo ha fatto man bassa di voti popolari, operai, e "lumpen" e si prepara a lanciare l'arma del referendum anti-Europa. Sarà lunga questa storia, domenica scorsa ne è stata scritta solo la prima pagina.

Ma la seconda causa del naufragio socialista riguarda invece soltanto Jospin e il gruppo dirigente radunato intorno a lui: non sono stati riconoscibili e riconosciuti dalla loro gente che ha ritenuto, a torto o a ragione, che scegliere tra il capo del governo socialista e il presidente della Repubblica gollista fosse un inutile esercizio e un'inutile fatica. Conseguenza: sono rimasti al mare oppure hanno dato il loro consenso ai massimalisti di destra e di sinistra: nazionalisti, xenofobi, trotzkijsti; sedici candidati, sedici etichette, un supermarket di piccole ambizioni, di micro-ditte elettorali, specie a sinistra. Qui da noi ne sappiamo qualche cosa.

Ora l'Europa è direttamente minacciata nel suo spirito fondativo. Non dai proclami di Le Pen, almeno per ora, ma dalle pulsioni nazionali che la destra europea, anche la più moderata, ha portato sul proscenio. Ha ragione Prodi di allarmarsi ma i fatti sono purtroppo fatti. I Sedici dell'Unione, i Ventuno della Comunità, saranno d'ora in avanti altrettanti galli intorno ai tavoli del negoziato. La moderata destra spagnola per prima, l'Italia di Berlusconi-Tremonti-Bossi a pari merito, la Francia di Chirac in testa se non altro per disinnescare la miccia lepenista, Blair e la sua anomalia insulare. Vedremo tra poco Olanda e Germania ma ormai il giocattolo è rotto, ripararlo sarà estremamente difficile.

La sinistra europea, con il sogno socialdemocratico infranto, ha dinanzi a sé un compito immane: ricostruire un'appartenenza ideale che tenga insieme tutte le sue anime, ma anche darsi carico della modernizzazione nelle sue molteplici forme globali. Immaginare una politica riformista senza inseguire l'avversario. Negoziare con gli interessi senza divenirne schiava. Riportare la sua gente in battaglia senza abbandonarsi al massimalismo chiacchierone. Unificarsi senza chiudersi nel ghetto del settarismo. Rilanciare un disegno europeo che accresca la sovranazionalità ma non il dirigismo degli eurocrati. L'idea d'Europa sarà al centro della battaglia mentre non lo è stata finora in nessuno dei paesi che la compongono. Ma bisogna farne un'idea-forza, non una disputa astratta e lontana. Terribilmente difficile, ma vitale per la sinistra europea perché su questo terreno si gioca la sua rinascita o la sua definitiva estinzione.

La sinistra italiana, in mezzo a tanti errori, tante sconfitte, tante deplorevoli vanità di capi e capetti, ha però un vantaggio: da qualche mese le sue varie anime sono tornate in linea, hanno riscoperto il gusto della partecipazione, cominciano a capire che è finito il tempo di recriminare e di stracciarsi le vesti ed è venuto quello di ricompattarsi e marciare uniti. Ci sono ancora qua e là alcuni profetanti che reclamano vendette e invocano autodafé ma sono frutti fuori stagione perché oggi la strada da percorrere non consente alternative: modernizzare i diritti ed estenderli a tutti gli esclusi, così come hanno sentito ed espresso i padri e i figli affiancati gli uni agli altri al Circo Massimo il 23 marzo, nello sciopero generale del 16 aprile e come sarà ancora il 1[b0] maggio.

Estenderli nel lavoro, nella scuola, nell'economia, nell'informazione, nell'efficienza e autonomia della magistratura, nella crescita delle imprese. E investire sull'Europa, sulla sua identità passata e futura, sulla sua capacità di esprimersi unitariamente riconoscendosi negli ideali della libertà e della giustizia. La sinistra è questo o non è. I fatti francesi ne hanno dato drammatica conferma. Qui da noi si era capito già prima, Silvio Berlusconi aiutando. Si può pensare che proprio da qui il pendolo ricominci a muovere in direzione opposta? Talvolta i sogni si avverano se a sostenerli c'è l'umiltà di partecipare e l'orgoglio di costruire il futuro.

(24 aprile 2002)

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