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Fausto Martino
Le soprintendenze stanno morendo, ma il Mibac non lo sa
3 Febbraio 2008
Beni culturali
Dalla trincea di una soprintendenza ai bb.cc. un grido d'allarme: la legge non basta a supplire alle insufficienze della tutela. Inviato a eddyburg il 3 febbraio 2008

“Un’occasione decisiva per segnare una svolta nella vita della nostra collettività”. “L’inizio di una rifondazione ecologica del Paese, la prima pietra di una nuova Italia”. Giovanni Valentini, dalle pagine di Repubblica del 28 gennaio, non nasconde l’entusiasmo per quello che non esita a definire “un moderno rinascimento civile”. Poi si rende conto, abbassa il tiro e aggiunge “o quantomeno una fase virtuosa nella gestione dell’ambiente”.

A cosa si deve tutta questa estasi? Pensate, all’ennesima revisione del Codice dei Beni Culturali, che avrebbe il pregio di riaffermare la competenza dello Stato nella tutela del paesaggio.

Bene. L’entusiasmo fa sempre bene, e vorremmo poterlo condividere. Purtroppo il nuovo “rinascimento civile” di cui vagheggia Valentini non è proprio dietro l’angolo e la revisione del Codice dei Beni Culturali sembra l’ennesima caricatura delle gloriose leggi di tutela del 1939, predisposta da chi ignora – pressoché completamente – il lavoro di trincea svolto ogni giorno dalle soprintendenze.

I nuovi 184 articoli del Codice – praticamente tutti – non sono noti, ma a leggere l’articolo di Valentini sembrerebbe che la principale novità – che poi novità non è - consista nell’attribuire alla soprintendenze il compito di autorizzare le trasformazioni del Paesaggio.

La legge 1497 del 1939, varata dopo un dibattito culturale di alto respiro, già assegnava alle Soprintendenze questo compito e già il regolamento del 1940 indicava nel “piano paesistico” il mezzo per prevedere, graduare e valutare gli effetti sul territorio della sommatoria delle singole trasformazioni, limitando, tra l’altro, il potere discrezionale di chi avrebbe rilasciato le autorizzazioni, con evidente vantaggio per la certezza del diritto.

Dunque, nessuna novità. La vera novità è l’ammissione del fallimento di un malinteso spirito di democrazia e decentramento che portò, dal ’77 in poi, ad attribuire il potere di autorizzare le trasformazioni del paesaggio, a quegli stessi soggetti – i comuni – che in tanti casi si sono resi corresponsabili dei peggiori guasti ambientali. Insomma, fu come affidare le pecore al lupo e non è un caso che la peggiore, estesa ed incontrastata devastazione del territorio nazionale sia avvenuta in a partire da quegli anni e fino al parziale recupero di competenze operato, nel 1985, dalla benemerita legge Galasso. La recente, ennesima proposta di modifica del Codice assume, dunque, il sapore rancido di un tardivo ravvedimento operoso.

Ma andrebbe anche bene, e potrebbe addirittura essere convincente se appena gli estensori dell’ultimissima versione del Codice si fossero soffermati ad analizzare lo stato di pietoso degrado in cui versa l’amministrazione periferica del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Quella, cioè, che dovrebbe metter in pratica i nuovi-vecchi principi di tutela.

Personale insufficiente, invecchiato e mal pagato, ma tutto indistintamente “riqualificato”, cioè slittato verso profili superiori, con conseguente assenza totale delle figure una volta definite “ausiliarie”. Cronica carenza di fondi, anche quelli necessari per la vigilanza, sedi insufficienti, pericolose e malsane, mancanza di attrezzature, di cancelleria, perfino della carta igienica. Eppure, con il regolamento di riforma del Ministero, approvato solo qualche mese fa, non si trova di meglio da fare che spezzettare gli uffici periferici, duplicando evidentemente i costi. Cui prodest?

Le soprintendenze stanno morendo. Lentamente, senza darlo a vedere, stanno morendo, assassinate da scelte politiche distratte, inadeguate, spesso autocelebrative. Ma mentre le soprintendenze muoiono, mentre la normativa italiana si arricchisce, ogni giorno di più, di norme derogatorie che consentono a chiunque di realizzare qualsiasi cosa ovunque, mentre i provvedimenti di tutela emessi dalle soprintendenze vengono impallinati dagli ipergarantisti tribunali amministrativi, mentre, insomma, il paesaggio va a puttane e, con esso, il Bel Paese, l’orchestrina del Mibac-Titanic, con l’acqua alle ginocchia, continua a suonare “Nearer, My God to Thee”.

Dunque, ancora un nuovo Codice, con effetto salvifico incorporato. Nuovo, o lavato con Perlana? Vedremo.

L’autore è coordinatore del settore per il paesaggio delle Soprintendenza per i B.A.P.S.S.A.E. di Salerno e Avellino

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